Villa Signorini di Ercolano
di Michele Di Iorio
Villa Signorini è la più bella e meglio conservata dimora settecentesca del Miglio d’Oro. Restaurata filologicamente dagli ultimi proprietari, è ubicata in via Roma di Ercolano al numero civico 43. In stile rococò, viene attribuita della scuola del Vaccaro. Sembra che sia stata costruita dal regio architetto De Dominici, che fu anche autore della confinante Villa Caravita, oggi Maltese.
Villa Signorini si articola su due piani con ingresso sulla strada a bugne in piperno, volute tardo baroccheggianti e una chiave di volta con mensoloni statici a sostegno dei balconi centrali in piperno. Le finestre sono quadrate. In asse con il portone sul balcone del piano nobile si erge l’antico stemma, ritrovato da pochi anni nei sotterranei.
Il piano terreno comunica con il giardino cui si accede dalla dimora vesuviana attraverso splendide vetrate in ferro battuto. Il piano nobile accede al giardino vesuviano da due rampe di scale simmetriche aggiunte agli inizi del Novecento
Villa Signorini era riportata nella mappa del 1775 del duca di Noja. Il primo proprietario fu il marchese don Andrea Alfano di Napoli, quindi nel 1797 passò ai nobili Cirella di Napoli e nel 1809, poi alla famiglia Gaetani dell’Aquila d’Aragona e infine a don Carlo Brancia.
La proprietà nel 1911 passò al commerciante Pietro Signorini, dal 1867 socio della Cirio, l’industria conserviera fondata nel 1850 dal piemontese Francesco Cirio.
Signorini, appena nominato direttore generale della Cirio acquistò la dimora settecentesca. Alla sua morte nel 1916 gli subentrò il fratello Paolo.
Negli anni ’80 la proprietà della Villa passò alla società che attualmente la gestisce: è hotel, ristorante e ospita eventi prestigiosi.
La prima volta che visitai Villa Signorini fu nel 1968. Vi ritornai qualche anno dopo, quando venne la Cirio venne ceduta alla SME, con Nicola Ariano di Torre Annunziata, Giuseppe Del Noce di Napoli, Giovanni Pica di Napoli e il barone Florindo Di Iorio di Torre del Greco.
Proprio qui, nei suggestivi ambienti della dimora vesuviana dove trionfò l’oro rosso, ovvero il pomodoro campano, cementammo un sodalizio che approfondiva gli studi osiridei di Raimondo de Sangro. Una unione spirituale che durò per sempre.