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Una meraviglia dimenticata: le 366 Fosse

di Lucio Sandon

Il cimitero cosiddetto Dei Tredici fu commissionato nel 1762 da Ferdinando IV di Borbone. Il re sostenne la proposta fatta dall’ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili all’architetto Ferdinando Fuga, il quale realizzò un’opera degna di rilievo per l’introduzione di criteri di razionalizzazione delle sepolture.

Sorge ai piedi della collina di Poggioreale, un tempo chiamata monte di Leutrecco o popolarmente Lo Trecco (che sarà ancora più deformato in Trivice, la cui scorretta italianizzazione è Tredici). L’origine del termine “Leutrecco” proviene a sua volta dalla deformazione del nome di Odetto de Foix visconte di Lautrec.

Quest’ultimo nell’ambito delle guerre franco-asburgiche, e in particolare dopo il sacco di Roma perpetrato dai lanzichenecchi di Carlo V, installò in questa zona l’accampamento francese durante l’assedio a Napoli del 1528.  Fu in assoluto il primo cimitero ad essere costruito al di fuori delle mura cittadine: in precedenza era comune per i ceti popolari l’uso di sotterrare i morti nelle cavità di ospedali, chiese e grotte.

L’area cimiteriale delle 366 Fosse è stata chiusa nel 1890 dopo aver accolto più di settecentomila corpi. All’interno, il vasto cortile così delimitato è suddiviso in 366 ambienti ipogei disposti in 19 file per 19 righe, cui vanno aggiunte 6 fosse disposte nell’atrio dell’edificio rettangolare. Queste ultime fosse sono scomparse a causa dell’ampliamento del cimitero eseguito nel 1871.

Ciascuna fossa, cui si accedeva dall’alto mediante un tombino, aveva una profondità di 7 metri e una pianta di 4,20 per 4,20 metri, ed era segnata sulla pietra di copertura con un numero progressivo da 1 a 366, corrispondente alla data del giorno stabilito per l’apertura annuale, scritto con numerazione araba. Il numero 366 corrispondeva alla data del 29 febbraio.

L’unicità di questo cimitero consiste nella particolarità del suo impianto, concepito in maniera tale da consentire l’inumazione ordinata dei morti secondo un criterio cronologico. Le 366 fosse, infatti, consentivano di gestire tutte le sepolture durante tutto l’anno, tenendo conto anche degli anni bisestili.

La procedura prevedeva che ogni giorno venisse aperta una fossa diversa, che a sera venisse poi richiusa e sigillata. La sequenza, che a regime prevedeva l’utilizzazione di tutte le fosse, era fissata secondo un criterio logico: si partiva l’1 gennaio di ogni anno dalla riga confinante col muro opposto all’ingresso, procedendo da sinistra a destra sino alla 19esima fossa e da destra a sinistra nella riga successiva e così alternando, fino ad esaurimento.

Con questo sistema si riduceva al minimo lo spostamento del macchinario per il sollevamento delle pesanti lapidi di basalto, utilizzato anche per calare il corpo nella fossa.

Quest’ultima procedura veniva realizzata attraverso l’uso di una cassa con fondo a rilascio, che eliminava quindi la possibilità di sepolture sbrigative e impietose.

Il macchinario per il sollevamento delle lapidi è ancora oggi visibile, anche se in rovina. Inizialmente, le salme venivano semplicemente gettate nelle fosse, finché nel 1875 una baronessa inglese, avendo perso la figlia durante un’epidemia di colera, volle contribuire a rendere più compassionevoli le operazioni di sepoltura nel cimitero. Ella donò un argano con cui calare nelle fosse una cassa dotata di un meccanismo di apertura sul fondo, permettendo in questo modo di adagiare le salme nelle fosse.

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge,  produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare. Il suo ultimo romanzo è La Macchina Anatomica, un thriller ambientato a Portici. Ha già pubblicato il romanzo Il Trentottesimo Elefante; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: Animal Garden e Vesuvio Felix, e una raccolta di racconti comici: Il Libro del Bestiario.

 

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