Storie di Portici: il prodigio del fulmine
di STANISLAO SCOGNAMIGLIO
Era un 8 settembre, quando, poco più che bambino, con mio padre Angelo e i suoi fratelli Antonio e Ciro per la prima volta sono salito sul campanile della chiesa parrocchiale di Santa Maria Addolorata in Portici.
Eravamo lì per annunciare alla comunità dei fedeli con il suono delle campane l’inizio dell’ottavario indetto quale preparazione a festeggiare la Beata Vergine Maria. Mi ero accodato a loro per seguire da vicino il concerto, come qualche anziano era solito definirlo, la cui registrazione eseguita dall’amico Antonio Longo, purtroppo è andata perduta. Data l’occasione sarebbe stata eseguita la “duanella” e poi la “gloria”.
Appena arrivati nella torretta a est, da mio padre mi fu subito indicata una crepa nella volta. Era stata provocata, mi fu detto, da un fulmine.
A distanza di anni, alla continua ricerca di notizie che hanno interessato la nostra Portici, mi è capitato di riscontare la fondatezza di quel lontano racconto, leggendole pagine del volume Ragguaglio dei principali fenomeni naturali avvenuti nel Regno durante il 1856. Si tratta della testimonianza diretta dell’architetto Francesco De Felice, resa dallo stesso con la stesura della relazione Effetti del fulmine sopra una chiesa di Portici.
«Gli effetti del fulmine sopra la chiesa dell’Addolorata, nella contrada denominata Bosco Cremano in Portici, furon fra quelli che meritano di essere ricordati. Stavamo alcuni momenti in una villa, posta dirimpetto ed a pochi palmi distanti dalla mentovata chiesa, il dì 14 dell’ultimo Settembre, allorché verso lo ore tre p. m. copertosi di un tratto il cielo di nubi temporalesche, scoppiò su quei deliziosi colli orribile uragano. La pioggia cadeva a torrenti, ed i fenomeni di elettricità atmosferica più sensibile si succedevano senza interruzione, da incutere spavento non ordinario anche agli animi più forti. Quella chiesa, a chi noi sappia, vogliam dire, che è fiancheggiata da due campanili di discreta altezza, i quali innalzandosi per oltre a due ordini sopra la base rettangolare si restringono bruscamente a mò di sconci ed irregolari coni, su cui sono impiantate due croci di legno di un quattro palmi di altezza. L’interno della chiesa è coperta con volta che dicono a botte, di figura ellittica, e ne distingue il primo compartimento poco dopo la porta principale un arco, i cui piè dritti sporgono alquanto dalle pareti dei muri laterali, restringendo così di qualche palmo la larghezza del tempio in quel luogo.
Prossima essendo la celebrazione della festa di nostra Signora Addolorata, che con molta pompa fan quei fedeli la terza domenica del mese di Settembre, si trovava la chiesa addobbata di serici drappi, di veli, di frange d’oro, e di tutti gli altri adornamenti che siam soliti di vedere in simili congiunture. La volta, le pareti, l’altare maggiore, l’orchestra eran tutti ricoperti di tali decorazioni, che si confondevano con quelli che a larghi festoni e ad ampie pieghe scendevano dall’alto. Sopra grande piedestallo dorato sorgeva il simulacro della Vergine, il quale si vedeva circondato da moltissimi oggetti lavorati in oro ed in argento esprimenti i voli in varie epoche sciolti da quei buoni parrocchiani.
Ora nel massimo infuriar dell’uragano un fulmine con orribile strepito fu attirato dal campanile posto sul sinistro lato della chiesa; spezza la croce, dirocca una parte della copertura conica del campanile, e mentre da un lato per la prossima finestra munita d’inferriata entra in chiesa, dal lato settentrionale penetra in una prossima Casina a tre ordini. Qui spezza le gelosie di legno, abbatte molle delle porte interne, svelle i quadrelli dai pavimenti, stramazza, senza molto offendere, gli abitanti che erano nelle case, e per la scala cinta da ringhiera di ferro, sollevando un ballatoio, si fece via nel suolo.
Dal lato della chiesa forò in varii punti i muri aprendosi cavità di forma conica regolarissima, delle quali avendone misurate alcune, le trovammo profonde poco meno di un palmo. Percorse così le mura a sinistra all’altezza del cornicione, facendosi via nell’ angusto spazio che eravi fra i drappi e le pareti, lasciò lunga striscia nericcia su queste, sensibili macchie gialle sui veli, le sete, e gli altri tessuti, come al cominciar di una combustione; distrusse in molti luoghi le laminette metalliche comunissimo in tali maniere di decorazioni; circondò, senza offendere, il venerato Simulacro, ne’ veli e ne’ paramenti; ed in molli altri punti della chiesa lasciò gli evidenti indizi del potere elettrico.
Ciò che ci fu dato di osservare immediatamente, raccogliendo i maggiori fatti che potemmo, è quel che segue. II cammino del fulmine per la linea di minor resistenza nella prossima Casina si rendeva evidente: colpì dall’alto in basso quella casa, e si perdo nel suolo in guisa che sarebbesi indotto a credere un caso di due folgori mosse da una medesima nube, fenomeno la cui spiega non è più ravvolta in arcani misteri, come fu per lo passato. La inferriata della finestra della chiesa, prossima al campanile, e che fece via all’elettricità, ci diede alcun lieve segno di effetti magnetici, che non avemmo opportunità di continuare ad osservare. Il Signore Iddio non volle che quella chiesa eretta colla carità degli abitanti della contrada fosse stata distrutta; e però non permise che uno dei più terribili effetti fisici dell’elettricità, l’incendio, avesse avuto luogo. Noi nella nostra qualità di direttore di questi civici Pompieri abbiamo avuto l’opportunità di osservare molte volte i disastrosi effetti del fulmine sugli edifici, i quali ebbero a patir molto dal fuoco, sebbene non si fossero trovati per nulla nella condizione della chiesa di Portici. La sola bambagia; la lana, la paglia, gli abiti donneschi, e via discorrendo, sono stati mezzi bastevoli all’elettricità di appiccare il fuoco; ed è quindi maraviglioso che nel fatto che ricordiamo quel danno non sia avvenuto. Facemmo a caso sollevare i drappi che erano accosto al piè dritto a destra dell’arco d’ingresso, e contro il muro si vedeva un foro fatto dal fulmine; volemmo osservare l’altro piè dritto, e, caso strano, vi trovammo un simile foro ed alla medesima altezza. E pure in nessun punto de’ molti che attestavano la presenza dell’elettricità, ed il lungo cammino che percorse nell’interno della chiesa, si appiccò il fuoco. Si noti pure che quasi tutti quei tessuti erano orlati e decorati, non altrimenti che dalle solite laminette che dicono carte dorate, e che queste in parte si vedevano annerite, in parte impicciolite, altrove distrutte affatto».