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Rischio Vesuvio, se lo conosci ci convivi

di Tonia Ferraro

PORTICI  (NA) – Al Mondadori Point in II viale Melina mercoledì 13  marzo – anniversario dell’ultima eruzione del Vesuvio del 1944 – si è tenuto l’incontro del Portici Science Cafè sul tema Vesuvio. Quale Piano di Protezione civile?

La conversazione, introdotta dall’ingegner Vincenzo Bonadies, “anima” del PSC, è stata dell’architetto Francesco Santoianni, esperto di Disaster Management e presidente dell’associazione  Vivere tra i vulcani  (www.viveretraivulcani.it).

Rischio Vesuvio, rischio Campi Flegrei: abitare in una zona vulcanica comporta una serie di consapevolezze.

Il suolo fertile di queste terre è stato sempre connotato da un’alta densità abitativa. Le eruzioni che si sono succedute nei secoli non hanno mai scoraggiato le persone, che hanno imparato a convivere con il vulcano. Ultimamente però una cattiva o inesistente informazione  hanno creato uno stato di timore e incertezza tra la gente.

Se è giusto prepararsi agli scenari più foschi, se è opportuno mettere in campo misure di emergegenza e un piano di evacuazione  che prevede «… lo spostamento di centinaia di migliaia di cittadini vesuviani in 18 regioni italiane»  bisogna sottolineare che le eruzioni sono eventi prevedibili e non necessariamente catastrofici. Neanche i vulcanologi sanno  che tipo di eruzione si possa verificare, nè quando. In poche parole, se un vulcano entra in una fase parossistica, non è detto che necessariamente si verificherà una fuoruscita di lava o un’esplosione: i parametri possono anche rientrare, come è successo più volte.

Quindi, se è opportuno avere un piano di evacuazione, specialmente per le fasce più deboli, la popolazione non va allarmata. Già il fatto di “deportare” obbligatoriamente gli abitanti di intere cittadine della “zona rossa” fa pensare a scenari apocalittici, ma una fuga da un evento che potrebbe verificarsi o anche rientrare genererebbe comunque panico.

Unica alternativa concreta al piano di evacuazione fu il progetto regionale Vesuvìa, che prevedeva tra l’altro di ridurre la popolazione vietando«… per sempre la realizzazione di nuove costruzioni residenziali nel territorio dei 18 comuni vesuviani» e con «… la promozione di una serie di incentivi normativi ed economici rivolti principalmente a favorire lo spostamento consensuale.»

Conoscere e convivere con un vulcano non vuolo dire essere incoscienti. Basterebbe farsi raccontare dai nonni come vivevano in tempo di eruzione e ricorrere a semplici misure, come, mettendo un fazzoletto bagnato davanti la bocca, rimuovere la cenere vulcanica che si accumula  sui terrazzi di copertura degli edifici, ad esempio. Basterebbe ascoltare un  esperto di Disaster Management, ovvero colui che  si occupa della gestione dei disastri: politiche, procedure e pratiche intraprese prima, durante e dopo che si verifichi l’evento catastrofico.

LoSpeakersCorner ha incontrato l’ingegner Francesco Santoianni.

Il Disaster Managing è una disciplina importata in Italia dagli Stati Uniti una ventina di anni fa. Ho tenuto anche un corso al DARC della Università Federico II. In seguito altrove si sono addirittura sviluppati corsi universitari di Protezione Civile, come a Urbino.

Studiando la pianificazione e la gestione dei disastri, che di solito sono una cosa molto complessa da affrontare, mi sono occupato dei piani di emergenza vulcanica del Vesuvio e dei Campi Flegrei, rilevando una serie – a mio parere – di incongruenze, sia di metodo che di merito. Di metodo perchè all’estero i piani di Protezione Civile sono fatti da precise persone che firmano  ì progetti, che in alcuni casi vengono certificati da società esterne, come per le Grandi Opere. Ciò in Italia non avviene, si fa tutto all’insegna dell’improvvisazione, e se ne pagano le conseguenze.

Grazie al Cielo, dopo 28 anni la Regione Campania ha chiesto di modificare radicalmente il Piano, proponendo di spostare gli evacuati in zone vicine alla rossa e non dispersi per l’Italia. Inoltre ha individuato altri punti critici da modificare, soprattutto l’evacuazione preventiva generale, che in caso di rientro dell’allarme fa perdere credibiltà all’istituzione che l’ha ordinata, generando l’effetto “al lupo al lupo”.

Anche l’informazione andrebbe convogliata in modo da far apprendere alla popolazione i giusti accorgimenti da usare in caso di eruzione, come spalare la cenere dai tetti. Si era parlato di dotare i palazzi dai solai piatti di tetti spioventi, ma si può evitare questo intervento posizionando pali di ferro in alloggiamenti su cui all’occorenza fissare obliquamente lamiere che permettano alla cenere vulcanica di non depositarsi e minare l’integrità dell’edificio.

Il Vesuvio è stato in attività eruttiva esterna dal 1631 fino al 1944 e durante le eruzioni non scappava nessuno: imparare a convivere con il vulcano è stata la grande risorsa di questa terra e del suo sviluppo. Oggi tutto questo verrebbe vanificato dall’evacuazione preventiva: anche eruzioni non catastrofiche come quella del 1906 o del ’55 determinerebbero un grave danno economico. Esercizi commerciali chiusi, palazzi crollati per il peso della cenere, questa sarebbe la vera catastrofe. Invece basterebbe applicare semplici strumenti urbanistici, informare senza allarmare.

Anche grazie ai media, purtroppo è passato il messaggio che la prossima eruzione sarà come quella pliniana del 79 d. C. Recentemente in televisione è stato detto che si prevedono 1 milione di morti … Invece, è un evento che dà segnali da prima che avvenga, non è come un incidente nucleare, come la rottura di una diga: quindi, sebbene vada contemplata l’evacuazione, non va messa in atto preventivamente per eventi prevedibili. Il problema dell’enfatizzazione del rischio comporta anche un altro aspetto: quello della rimozione che porta ad investire in zone sensibili, favorendo magari l’edilizia abusiva.

Bisogna rendere consapevole la popolazione di cosa è realmente un’eruzione: quelle cicliche danno la percezione dell’effettivo pericolo. Sapere come comportarsi in qualsiasi emergenza, dal terremoto all’inondazione, aiuta a convivere e non cadere nel panico.

Anche pretendere nuove strade per un’eventuale via di fuga incrementa l’asse viario e aggrava il problema. Le strade esistenti, proprio perché è un fenomeno prevedibile  e graduale  e non improvviso, garantiscono un allontanamento tranquillo.Crearne di nuove potrebbe finire col determinare un incremento di abitazioni e l’urbanizzazione su un vulcano pericoloso come il Vesuvio assolutamente non deve crescere.

Alternativa valida fu il progetto Vesuvìa, che  prevedeva una collocazione in luoghi non lontani. Purtroppo è naufragato, ma dovrebbe essere ripreso e sviluppato. Per realizzare tutto questo ci vorrebbe un ufficio responsabile che decida il da farsi e indichi i comportamenti idonei, non un “auspicio-che tutto-vada-bene” ma cose concrete: un vero piano di Protezione Civile.

(Foto by Cesare Abbate, per gentile concessione)

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