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Real Caccia del Demanio di Calvi Risorta

Prima domenica di maggio, il nostro autore, ci conduce a visitare quel che rimane di un’altro sito borbonico, la Real Caccia di Calvi Risorta

di Lucio Sandon 

Del Demanio di Calvi, situato nei comuni di Calvi Risorta e di Sparanise si hanno informazioni precise già dal 1425, allorché occorse un contrasto circa i confini, tra la cittadina di Calvi e quella di Capua.

Secondo lo storico settecentesco Francesco Granata, fu la regina Giovanna II a stabilire i confini con un “privilegio” datato 17 settembre 1425.

Nella Storia Civile della Fedelissima città di Capua, pubblicata nel 1756, il Granata scrive che la regina Giovanna appagatasi della gran fedeltà dei Capuani, corrispose loro con infiniti privilegi e grazie, tra le quali il 17 settembre 1425 concesse un privilegio, dichiarando che il tenimento di Capua si estenda fino al Rivo corrente di Calvi, i quali territori sono divisi per certe colonne postesi per termine.

Carlo di Borbone nel 1751 affidava all’architetto Luigi Vanvitelli, di madre napoletana e padre olandese, il progetto della Reggia di Caserta, ma nello stesso anno lo studio Vanvitelli preparò anche un altro progetto: quello del Palazzo per il barone Zona, a Petrulo, frazione di Calvi Risorta, e uno dei luoghi più antichi dell’agro caleno.

La costruzione e la fortificazione del Castrum Petruri è precedente al IX secolo: la prima attestazione della sua esistenza è contenuta in un necrologio del monastero di San Benedetto, a Capua. Secondo tale documento, l’alto dignitario longobardo Aldemario, Conte di Calvi e Petrulo, era deceduto a maggio del 973.

Palazzo Zona, costruito ai margini di una villa rustica del ‘500 e ancora visibile a nord del cortile, viene descritto nel 1753 in una lettera scritta da Luigi Zona al fratello Don Muzio Zona, filosofo e protomedico di corte, trasferitosi in Spagna al seguito di Carlo III di Borbone.

Muzio si era servito degli allievi del Vanvitelli per il progetto del palazzo e del pittore di corte Giuseppe Bonito per farvi dipingere bellissimi affreschi in trompe l’oeil, la tecnica pittorica che dà l’illusione della realtà. Cortigiani, damigelle e popolani si affacciano dalle balaustre, tra uccelli, cedri e vasi di peonie.

Giuseppe Bonito, direttore dell’accademia del disegno a Napoli, era tra i pittori più noti del tempo: dipinse nel Monte di pietà di Napoli, nella reggia di Portici e in quella di Caserta.

Il portone di ingresso, scrive Luigi Zona, porta in un ampio cortile circondato da mura. Nel cortile appare una grande meridiana e a sinistra del cortile c’è una cucina. Da questa si entra in una stanza che contiene altre tre porte, una delle quali introduce in una dispensa, e la seconda immette in una scala segreta. Vicino all’ultima porta ce n’è un’altra che porta all’appartamento, ai granai, al magazzino.

Poi si vi sono due grandi stalle: una capace di otto cavalli e l’altra rustica, un secondo magazzino di grani ed un recinto in muratura. Attraverso un’altra porta si entra in un giardino murato grande un moggio, con un pozzo. Sulla porta che dal giardino porta al cortile c’è lo stemma della famiglia Zona (un arciere che scaglia una freccia contro un orso). All’interno vi è  una cantina, due fruttiere, la dispensa e la selleria. A destra nell’entrare dal portone, invece, c’è una scala nobiliare con la volta, dipinta dal celebre pittore Giuseppe Bonito nel 1769. Salita la scala, c’è un atrio, da cui si entra in una grande sala con due porte.

La bussola di sinistra immette in tre camere da letto dall’ultima delle quali si esce su una loggia che guarda sul giardino e sul cortile. La porta di destra invece, porta in un’anticamera e attraverso un’altra bussola, in una sontuosa galleria. La galleria è a volta e presenta sul fondo un arco anch’esso a volta. Sia l’arco che la galleria sono dipinti dal suddetto regio pittore Bonito.

La Real Casa Borbonica subentrò al barone Luigi Zona nell’affitto del demanio e del bosco di Calvi Risorta nel 1755, e fino al 1758 i Borbone fecero realizzare lavori di bonifica per lo spurgo dei fossati e costruirono la strada che portava al sito. Il contratto durava fino al 18 ottobre 1779, protraendosi per ulteriori dieci anni.

Il tutto venne ben descritto nella carta del Regno, realizzata nel 1793 da Giovanni Antonio Rizzi Zannoni

Tanto per avere un quadro generale dell’importanza e delle dimensioni del complesso, è sufficiente leggere quanto riportato nelle piante della tenuta e del Casino reale di Calvi, riprodotte dall’architetto Notarangelo nel 1910: si trattava di un complesso quasi quattro milioni di metri quadri di superficie, con la Torre d’Occidente di 608 metri quadri, il Casino Reale di ben 1.248 metri quadri, comprendente 12 stanze e 2 saloni al primo piano, 14 stanze al secondo, poi una cappella, un fienile e due stanze al pianterreno, ai quali si aggiungeva un casone di 2174 metri quadri e infine una casina di 176 metri quadri. Ma visto che i Borbone avevano un notevole gusto per l’estetica ed il bello in generale e la pensavano pure in grande, allora sul fronte principale del Casino, c’era anche il circo, un grande piazzale ellittico per le corse dei cavalli.

Dal demanio di Calvi Ferdinando IV scriveva spesso alla sua seconda moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia. Re Ferdinando era legato a Lucia Migliaccio dal 1811, e che non si trattasse di una semplice avventura fu provato dal matrimonio morganatico tra i due, in cui la Migliaccio diveniva moglie ma non regina, celebrato a soli due mesi dalla morte di Maria Carolina.

Il casino borbonico ormai sta cadendo a pezzi, assediato dagli sterpi e dai materiali di risulta. Di questi giorni anche il furto dello stemma reale sull’entrata, di due acquasantiere di marmo ed il tentato furto del pavimento.

Un patrimonio inestimabile, un tempo riserva di caccia reale e oggi completamente abbandonato a sé stesso al punto che tra qualche anno di esso non resterà pietra su pietra. Sono rimasti solo alcuni ruderi abbandonati: le garitte della guardia, le scuderie, gli alloggiamenti dei soldati, la Cappella Reale sfondata.

Una parte del Casino è stata demolita per far passare una strada, un’altra parte è diventata una grande discarica.

Cento anni fa il Casino Reale del Demanio di Calvi era completamente integro: poi nel 1943, i tedeschi, durante la ritirata lo hanno bombardato. Dopo il bombardamento rimasero, a sinistra l’alloggiamento dei soldati, trasformato col tempo in caserma dei carabinieri (ci sono ancora dentro i resti di un archivio), a destra la scuderia utilizzata per i cavalli, al centro la Cappella Reale e due altri locali utilizzati come scuola elementare fino a una quarantina d’anni fa.

Oggi la Cappella Reale, nonostante sia rimasto qualche stucco, presenta delle crepe che tra qualche anno la spezzeranno in due.

Di seguito è raffigurata una caccia all’inseguimento, bandita nel 1784 da Ferdinando I a Calvi. L’opera venne terminata da Hackert l’anno successivo dopo numerosi disegni preparatori eseguiti al seguito del sovrano.

Erroneamente citata anche come Caccia a Persano o a Cassano, fu prima ritenuta persa ma in seguito correttamente messa in relazione con il dipinto di analogo soggetto e di minori dimensioni, donato nel 1854 al Museo Condè di Chantilly dal Duca di Aumale, cui era pervenuto attraverso gli eredi del Principe di Salerno, come estinzione di un vecchio debito, e nella cui quadreria era inventariata come schizzo per la Caccia a Carditello di Caserta.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.

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