Cultura

Pietrarsa e la sua storia

di Michele Di Iorio

Il 4 ottobre del 1839 re FerdinandoII di Borbone inaugurò la prima tratta ferroviaria, la Napoli-Portici, 7 km di strada ferrata percorsi in 11 minuti con le locomotive gemelle, la Bayard e la Vesuvio, progettata dall’ingegner Armand Bayard de la Vingtrie su prototipo della Rocket dell’inglese George Sthephenson.

La Vesuvio raggiungeva i 60 km orari nonostante i freni manuali. Venne montata a Napoli con pezzi costruiti in Gran Bretagna.

Nel 1840 il re decise di fondare un opificio ferroviario nei pressi di Portici, a Croce del Lagno, su una preesistente fabbrica d’armi del 1755, chiusa nel 1799, che venne riaperta nel 1837 a Torre Annunziata.

Qui vennero costruiti i primi pezzi in ghisa di accessori ferroviari. Poi nel 1840 la struttura venne trasferita a fianco la casa cantoniera di Pietrarsa. Qui si costruì una bellissima fabbrica di 36mila m², di cui 14mila coperti da eleganti padiglioni.

Vi si trovavano due binari interni e una piattaforma girevole di collegamento, un reparto interno montaggio delle locomotive in progettazione, il padiglione torneria, sala fucine con un maglio ad aria compresa e uno a vapore, tubi bollitori. In un altro padiglione trovava posto il reparto calderai e fornai del Genio militare ferroviario borbonico.

Nel 1842 la tratta ferroviaria venne prolungata fino a Torre Annunziata: raggiunse così i 22 km. Venne iniziato dunque il percorso che avrebbe portato a Castellamare di Stabia. In quello stesso anno venne inaugurata la nuova stazione Napoli-Caserta su un territorio agreste, l’odierna piazza Garibaldi. La tratta aveva la lunghezza di 36 km.

Nel 1843 la strada ferrata da Napoli arrivò a Nocera Inferiore e l’anno successivo venne inaugurata la tratta Nocera-Sarno.

L’opificio di Pietrarsa sin dal 1844 fabbricava anche pezzi per la Marina. Le commesse erano tante e occupava 850 operai e impiegati del Genio militare ferroviario e della Marina. In quell’anno furono costruite le prime due locomotive a vapore, prodotte in Inghilterra ma revisionate e smontate e rimontate sul posto. Le due locomotive erano Impavido e Aligero. L’anno seguente ne vennero prodotte 7 nuove: Pietrarsa, Corvi, Robertesn, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. Inoltre vennero realizzate le elegantissime carrozze reali, il vagone postale e il vagone trasporto detenuti.

Nel maggio del 1852 all’interno dell’opificio fu posta una statua in ghisa fusa a Pietrarsa: misurava 4,5 d’altezza, pesava 7 tonnellate e si ergeva su un piedistallo di 3 metri. Raffigurava Ferdinando II ed era un’opera dello scultore Pasquale Ricca. Fu scoperta in occasione del compleanno del re, nel gennaio 1853.  Nel 1861 la statua venne tolta dal sito perché veniva fatta bersaglio di colpi di fucile. Umberto I Savoia ordinò di rimetterla al suo posto, da dove ancora oggi guarda soddisfatto la sua Pietrarsa.

Intanto il servizio migliorava costantemente: le ferrovie borboniche erano fornite servizio elettrico telegrafico e tutte le stazioni ferroviarie erano illuminate a gas. Le tratte ferroviarie continuarono a progredire fino al 1860: la Napoli-Salerno era ormai arrivata a Cava de’ Tirreni con 46 km di strada ferrata su 200 di linee in tutta la Campania.

Spazzati via i numi tutelari di Pietrarsa, i Borbone, nel 1862, grazie agli sforzi degli operai dell’opificio venne collegata Capua con Roma. Eppure nel 1863 l’ispettore generale delle ferrovie italiane del Sud, ingegnere Grandis, giudicò inutili i costi di Pietrarsa, che occupava 1000 tra operai e impiegati.

L’opificio fu ceduto a Jacopo Bozza che licenziò subito 550 dipendenti e ridusse gli stipendi da 36 a 30 grani giornalieri, mentre le ore di lavoro aumentarono. Cominciò un’escalation che vide ridurre sempre più le commesse in favore dell’omologa Ansaldo di Genova. Le maestranze vennero ulteriormente assottigliate, fino a che il 6 agosto 200 operai occuparono pacificamente la fabbrica dichiarando lo sciopero a difesa dei posti di lavoro.

Bozza si rivolse a Nicola Amore da Roccamonfina, questore di Napoli, che inviò un battaglione bersaglieri e una batteria ippotrainata di artiglieria di linea, uno squadrone di carabinieri a cavallo. I militari accerchiarono Pietrarsa intimando agli scioperanti la resa immediata. Quando gli operai aprirono i cancelli vennero però mitragliati da una bordata di artiglieria e da una scarica di fucileria dei bersaglieri che poi di corsa attaccarono alla baionetta. Il bilancio: 4 morti e 19 feriti più o meno gravi.

Molti di quelli che scamparono vennero arrestati e il giorno dopo imbarcati per Genova, ove un tribunale militare li giudicò e li condannò come criminali comuni. Nessuno di loro tornò mai.

Alcuni operai vennero riammessi al lavoro, lavorando sotto sorveglianza dei militari del regno sabaudo.

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