Perché il Primo Maggio
di Stanislao Scognamiglio
La Festa del Lavoro, tenuta quasi ovunque, ricorda la lotta degli operai per ottenere la riduzione dell’orario quotidiano di attività. In occasione del Primo Maggio vogliamo ricordare il sacrificio delle maestranze di Pietrarsa e l’eccidio avvenuto il 6 agosto 1863.
154 anni fa, in territorio porticese, all’interno della grande officina metal-meccanica borbonica Real Opificio di Pietrarsa, vennero massacrati alcuni operai che difendevano il posto di lavoro e reclamavano condizioni più umane.
La decisione aziendale circa il ridimensionamento delle maestranze e l’aumento delle ore di lavoro nel periodo estivo, infatti, provocarono la pronta reazione degli operai.
Ogni rimostranza fu però, limitata alla sola affissione di manifesti, con i quali si invitavano i lavoranti alla mobilitazione e alla vigilanza.
Il signor Giacomo Bozza, divenuto proprietario dell’impianto industriale dopo l’unità d’Italia, dovendo licenziare ancora altre maestranze, richiese al delegato di Pubblica Sicurezza l’intervento della forza pubblica allo scopo di evitare disordini.
L’intromissione delle forze di polizia, però, suscitò l’indignazione degli operai dell’opificio metallurgico che, prontamente, entrarono in sciopero.
I lavoratori sospesero in blocco il lavoro e suonarono «… a stormo la campana dell’officina per richiamare a raccolta i compagni degli stabilimenti vicini».
Riuniti in assemblea sul piazzale all’ingresso delle officine, inveendo contro il direttore, «… presero a gridare – Fuori Pinto, Fuori Pinto, Viva il Governo».
Adducendo a pretesto che i manifestanti avessero assunto il controllo dello stabilimento e che presidiassero i cancelli d’entrata, tale Zimmermann, capo contabile nello stesso opificio, sollecitò al Delegato di polizia la richiesta d’intervento dell’esercito.
Con un durissimo intervento militare venne interrotta l’assemblea dei dimostranti.
Al comando di aprirsi la strada a colpi di baionetta, impartito dal capitano dei bersaglieri Martinelli, «…inferocito dalle voci insultanti e dai volti minacciosi degli operai», trenta militari circondarono lo stabilimento e caricarono le maestranze.
Molto discordanti le notizie che affiorarono nell’immediato: si parlò di tre, sette, nove caduti e di venti, ventuno, trentadue feriti.
In effetti, condotto dai bersaglieri, carabinieri e guardia nazionale, l’assalto alle spalle provocò la morte di quattro operai, il ferimento grave di sette e in forma lieve di altri dodici.
Tra le vittime coinvolte nel tragico incidente «… due operai spiravano sul luogo per nome Aniello Marino e Luigi Fabbrocino, altri sette, Domenico del Grosso, Aniello Olivieri, Aniello de Luca, Domenico Citale, Mariano Castiglione, Salvatore Calamagni, Antonio Coppola gravemente feriti erano nello stesso giorno menati all’Ospedale dei Pellegrini in Napoli, ove i due primi miseramente lasciavano la vita.
Gli altri Alfonso Miranda, Raffaele Pellecchia, Giuseppe Chiariello, Carlo Imparato, Tommaso Cocozza, Giovanni Quatonno, Giuseppe Calibè, Leopoldo Aldi, Francesco Ottaiano, Pasquale de Gaetano, Vincenzo Simonetti, Pasquale Porzio».
La notizia del brutale eccidio perpetrato dall’intervento dei militari a Pietrarsa, provocò un enorme scandalo e una grande indignazione nell’opinione pubblica.
Il signor Giacomo Bozza, alla luce di quanto accaduto, diffuse «… un ridicolo comunicato nel quale accusa uomini senza morale e senza cuore di essersi mischiati agli operai onesti ed intelligenti per provocare continui disordini».
Occorre dunque rinnovare alle future generazioni il ricordo del massacro avvenuto il 6 agosto del 1863, e stare attenti a che non resti semisconosciuto come lo è stato fino a qualche anno fa o addirittura, lo si releghi nuovamente all’oblio degli archivi, dove è stato scientemente tenuto.
Si auspica che venga intrapresa dalla Città di Portici un’iniziativa per ricordare e onorare i nomi dei primi martiri della storia operaia, non solo italiana.