Pane, il libro di Maurizio de Giovanni
di Tonia Ferraro
PORTICI (NA) – Lo scrittore Maurizio de Giovanni martedì 21 marzo è stato nella cittadina vesuviana per presentare il suo libro Pane, della fortunata serie dell’ispettore Lojacono di I bastardi di Pizzofalcone, più l’ultima chicca che ha regalato ai suoi entusiasti lettori, Vita quotidiana dei bastardi di Pizzolfalcone.
Pane. «Luigi Palma, detto Gigi, pane integrale. Giorgio Pisanelli, detto il Presidente, pane raffermo. Giuseppe Lojacono, detto il Cinese, pane di sesamo. Francesco Romano, detto Hulk, pane duro. Ottavia Calabrese, detta Mammina, pane dolce. Alessandra Di Nardo, detta Alex, pan pepato. Marco Aragona, detto Serpico, pane cafone». Questi I bastardi di Pizzofalcone.
Il Pane, quello vero, fatto cu ’o criscito che va accudito secondo un preciso rituale, quello che lievita lentamente raggiungendo squisitezza e sapore che si conserva per giorni. Quello prodotto senza logica commerciale ma solo per la gente. Quello che faceva da generazioni la famiglia di Pasqualino il fornaio, antieroe dei nostri giorni … Il mondo cambia, Pasqualino no, portando il peso della tradizione. È la metafora di Napoli, tragicamente gravata dalla sua bellezza.
Vita quotidiana dei bastardi di Pizzolfalcone. «Ora che un volto ce l’hanno, facciamoli parlare. Sentiamo che hanno da dire, impacciati e imbarazzati, in lotta con le solitudini e gli errori, in preda al dubbio di trovarsi nel posto e nel momento sbagliati».
L’autore lascia che i personaggi si raccontino, uno per uno, attraverso immagini e quei dialoghi interiori cui ci ha abituato Maurizio de Giovanni. Il che lo rende uno scrittore più originale di altri: non scrive semplici noir ma li arricchisce con introspezioni che aiutano a capire una città e le sue contraddizioni, che inducono a riflettere profondamente.
Qui non si parlerà oltre dei libri di de Giovanni: bisogna leggerli e quindi metabolizzarli. È inutile raccontarli da cima a fondo e togliere spazio a Maurizio. Ascoltarlo parlare, e non solo dei suoi libri, arricchisce, dà una visione di Napoli normale, giusta, fa prendere coscienza sia degli errori sia dei valori.
Raccontando dei suoi lavori Maurizio mette l’accento sull’onestà dello scrittore: se la storia che racconta finisce con il dipanarsi in maniera “scomoda”, l’autore deve lasciare che prosegua senza magari tornare indietro per cambiare quello che ha scritto. E questo implica non solo il rispetto dei personaggi che sono entità quasi autonome rispetto al loro creatore – alcuni quasi lo prevaricano, dice de Giovanni, come Aragona e Bambinella – ma anche dei lettori, che sono consapevoli che il racconto doveva andare in quel modo e non diversamente. Perché è così la vita reale. Ineluttabile, come l’intreccio del racconto in sé e le motivazioni pregresse.
Parlando di Saviano de Giovanni dice che racconta Napoli da un solo punto di vista, quello di Gomorra. Sottolinea che la città ha altri aspetti e non si può cristallizzarla soltanto in uno di essi. Sarebbe come dire – ha affermato de Giovanni – che a Gubbio vi sia un’alta concentrazione di crimini, risolti peraltro da un prete in bicicletta, don Matteo. Lui invece ha scelto di raccontare di una città diversa.
Spiega ancora che nella serie televisiva I bastardi di Pizzofalcone, tratta dai suoi romanzi, gli esterni e gli interni sono stati girati senza finzione, senza montaggi o scenari costruiti ad hoc. Non ce ne era bisogno, perché Napoli è così, anche se a due passi da Santa Lucia e da piazza de’Martiri ci sono il Pallonetto e i Quartieri spagnoli. È il contrasto che vive una città unica, lo “stridore” che esiste tra una borghesia inerte e a volte anche corrotta e strati di popolazione proletaria che hanno valori alti e lottano per mantenerli. Da questo punto di vista Gomorra è più rassicurante: lì il cattivo è cattivo e si vede, mentre in I bastardi una insospettabile vecchietta nobile e ricca è capace di ammazzare un povero cristo. Ma va bene così, conclude de Giovanni: non lasciare esprimere le storie si chiama censura, le persone devono essere libere di discernere e quindi fare le proprie scelte.
«Io racconto sofferenza e crimini, storie all’interno delle quali c’è la risata, c’è l’amore … Come nella vita!…»
E se parafrasando un suo personaggio gli si chiede «A cosa serve tutto questo mare?», Maurizio non risponde. Non può dirlo con parole, perché è il mare sconfinato che ha dato l’anima a Napoli e ai napoletani. E a Maurizio de Giovanni.
(Foto by Cristina Baratta, per gentile concessione)