Onicofagia: quell’odiosa abitudine di mangiarsi le unghie
Il nostro medico in questo articolo ci spiega cos’è l’onicofagia, cosa comporta, quali sono le cause, quali i rimedi da adottare
di Carlo Alfaro
Per “onicofagia” si intende una abitudine orale viziata che consiste nel “mangiare” compulsivamente le proprie unghie. Il soggetto compie il gesto spesso in modo inconscio e automatico, ossessivamente e ripetutamente.
Il disturbo si manifesta solitamente dopo i 3-4 anni di età, con un’incidenza che tende ad aumentare progressivamente fino a raggiungere il picco nell’età adolescenziale, dai 12 ai 18 anni. La stragrande maggioranza dei soggetti cessa di mangiarsi le unghie entro i 30 anni, ma una discreta percentuale di adulti è ancora affetta dal fenomeno. I due sessi sono interessati con uguale frequenza.
Di solito, il soggetto tende a mordere in ugual misura le unghie di tutte le dita delle mani, che risultano tutte pertanto circa della stessa lunghezza. Il meccanismo che normalmente scatena il gesto è la necessità di scarico inconscio di una tensione emotiva interna, generata da stress, ansia, eccitazione, preoccupazione, disagio, noia.
In un certo senso, l’onicofagia riconosce la stessa origine delle forme autolesionistiche: un’emozione negativa viene scaricata sul proprio corpo per dare al dolore una forma fisica che ne attenui l’impatto interiore.
Secondo la teoria psicoanalitica di Freud, l’onicofagia rientra tra i sintomi di “fissazione orale”: la bocca è la parte attraverso la quale il bambino entra in contatto con la madre attraverso il suo seno e durante la prima infanzia resta la parte più importante per esplorare il mondo, ma se nelle epoche successive si rimane fissati sulla fase orale si sviluppano disturbi legati alla bocca (suzione del pollice, mangiare, bere, fumare, ecc.) che richiamano l’esperienza del seno materno con lo stesso effetto calmante.
Il DSM-IV-R (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione revisionata) classifica l’onicofagia come un “disturbo del controllo degli impulsi” (disturbi caratterizzati dalla incapacità di resistere all’impulso o tentazione di compiere un’azione, come la tricotillomania, abitudine di toccarsi i capelli), mentre l’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death, decima revisione), la classifica tra gli “altri disturbi specifici del comportamento e delle emozioni” che si presentano durante l’infanzia e l’adolescenza.
L’onicofagia può causare patologie delle unghie (dolore, sanguinamento e arrossamento del letto ungueale rendendolo suscettibile a infezioni batteriche, virali o micotiche: onicomicosi, paronichia, patereccio ecc.) e di denti e cavo orale (lesioni gengivali, infezioni, usura degli incisivi, riassorbimento radicolare apicale e malocclusione dei denti anteriori, carie), oltre a favorire infezioni generali diffuse tramite la bocca.
L’ingestione dei residui ungueali può provocare anche danni gastrici. Nel tempo, la persistenza del disturbo può interferire con la normale crescita delle unghie e può comportare gravi deformazioni delle dita.
Il trattamento più comune è quello di applicare alle unghie uno smalto chiaro e di sapore amaro: normalmente viene utilizzato il benzoato di denatonio, dal noto gusto molto amaro. Si usa dopo i 3 anni. Una varietà di altre opzioni comprende: bendaggio occlusivo sulla punta delle dita, guanti, unghie sempre tagliate corte, unghie artificiali, masticare un chewingum o un bastoncino di liquirizia quando sente la necessità di mordere le unghie, portare sempre con sé una lima, da usare quando il desiderio di portare alla bocca le mani si fa troppo forte, per concentrarsi su un’azione precisa che lo allontani.
La terapia comportamentale è utile quando le misure più semplici non sono efficaci. La Habit Reversal Training (HRT), una delle tecniche maggiormente utilizzate per la terapia del Disturbo da Tic, cerca di far disimparare un’abitudine viziata sostituendola con un comportamento più costruttivo e virtuoso. Nell’onicofagia, ha dimostrato maggiore efficacia rispetto al placebo nei bambini e negli adulti.
Il trattamento prevede cinque fasi: “consapevolezza primaria” del disturbo, “tecniche di rilassamento”, sviluppo di “risposte alternative/antagoniste” al gesto che si vuole eliminare, “gestione delle contingenze”, per imparare ad utilizzare la risposta competitiva quando si sta per compiere il gesto, “generalizzazione” di quanto si è imparato nei contesti reali di vita.
Riguardo ai farmaci, nessuno ha dimostrato efficacia inoppugnabile: di solito si ricorre agli antidepressivi, come nei disturbi ossessivo-compulsivi. Importante è la prevenzione: intervenire prima che l’abitudine diventi cronica e inveterata.
Carlo Alfaro è medico pediatra e adolescentologo sorrentino. Classe 1963, il dottor Alfaro è Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, componente della Consulta Sanità del Comune di Sorrento, Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) e Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientificò-culturale SLAM Corsi e Formazione.
Per passione Carlo Alfaro è giornalista pubblicista, direttore artistico, organizzatore e presentatore di eventi culturali, attore di teatro e cinema, poeta pubblicato in antologie, autore di testi, animatore culturale di diverse associazioni sul territorio.
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