Maria, il piccolo fantasma golosone
di Michele Di Iorio
A Napoli c’è un Caffè storico che è stato da sempre il salotto privilegiato da letterati e artisti. Le sue sale in stile Liberty hanno ospitato grandi personaggi, ma continuano anche ad ospitare il fantasma diuna bambina golosa di dolci, specialmente di torrone, una presenza benevola e … dolcissima .. che nei periodi dell’anno tra Ognissanti e Natale, tra l’Epifania a Carnevale e fino a Pasqua prende parte alla vita dello storico locale “sgraffignando” qualche leccornia …
Sono in molti ad affermare di aver visto una bella bambina allungare la manina verso una fetta di torta, una pastarella o le noccioline, ma nessuno dice di essere rimasto turbato o spaventato nel momento in cui ha realizzato che la piccola non era in carne ed ossa, ma un fantasma.
Chissà cosa direbbe il commissario Ricciardi, il personaggio dei libri di Maurizio de Giovanni, abituale frequentatore del locale, che con i morti ci “parla” … Ci piace pensare che la sua anima tragica sarebbe rinfrancata e rasserenata dall’incontro con la piccola Maria, come succede a tutti.
La bimba, sempre sorridente, saltella tra i tavoli in cerca di dolcetti e di leccornie da rubare a qualche distratto cliente che conversa con amici o con qualche bella signora.
Questo fantasma, dalla ricostruzione fatta in base alle testimonianze, appare di sera o di pomeriggio, e sembra viva, sempre serena e gioiosa. È vestita come una bambina del primo decennio del Novecento, spesso infreddolita nei poveri abiti. Persino il sito ufficiale del Caffè napoletano riporta il racconto della bambina golosona, citando numerosi avvistamenti di Maria, che così è diventata una ulteriore attrattiva: pare addirittura che molti turisti chiedano di lei.
Sono molte le testimonianze di persone che dicono di vederla: ho ascoltato tante di quelle storie che ormai mi sembra di conoscerla. La prima certa è quella di una mia zia: da piccola passeggiava con i genitori per via Toledo. Giunti in piazza si fermavano nel famoso Caffè. Lei assicurava di averla vista più volte ad Ognissanti saltellare tra i tavoli esterni al locale, mangiando torroni e aspirando estasiata l’aroma del caffè alla nocciola, per poi sparire verso il laboratorio.
Un’altra giovane signora mi ha giurato che incontra spesso questa bambina, che tra una leccata al gelato di un ignaro avventore e un’altra, sin dalla prima volta che la vide le disse di chiamarsi Maria Improta e di essere nata a Napoli a fine febbraio del 1902, nel vicolo Monteroduni, nei vicini Quartieri Spagnoli.
Con occhi penetranti, bruna e bella, sorridente e paffutella, Maria le raccontò la sua storia: a otto anni morì di meningite all’ospedale Cardarelli. La madre era morta dandola alla luce, lasciando soli altri 4 figli e il marito, un povero fruttivendolo che tirava a campare portando in giro il suo carretto trainato da un asino. Era stata sepolta al cimitero di Poggioreale, in una fossa comune.
Sollecitata da un pezzetto di torrone e da un po’di zuppa inglese, la piccola non si fece pregare per continuare la sua storia: «Quando ero viva venivo sempre davanti a questo Caffè a guardare i dolci e i torroni nelle vetrine: li avrei mangiati tutti quanti ma non avevo soldi per comprarli. Da quanto sono morta, il 2 novembre del 1910, sono rimasta qui nelle cantine del palazzo, insieme ad altri come me, parte bambini e parte adulti. Spesso riposo in quei sotterranei dove adesso c’è una scuola di registi per il cinema, ma torno sempre qui per i dolci …»
Ormai sazia, dissolvendosi Maria portò la manina paffuta alla bocca per lanciare un bacio e guardandosi intorno disse: «Vi voglio bene a tutti quanti!…»