Ma non chiamateli ecoterroristi
di Tonia Ferraro
Il Vesuvio brucia da giorni. Questo gigante, simbolo identitario di Napoli, con gli anni, dopo l’ultima eruzione del 1944, era diventato un’isola di biodiversità, che ospitava circa 610 specie vegetali e una consistente presenza faunistica tra mammiferi, uccelli, vertebrati e invertebrati.
Il vulcano inoltre è fortemente antropizzato: si conta che circa 600mila persone vivano alle sue pendici. A scopo preventivo sono stati evacuati abitazioni e locali.
Sono scesi in campo Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Carabinieri Forestali, e gruppi dell’antincendio boschivo della SMA Campania (Servizio Manutenzione Anticendio).
Tanti i volontari che si stanno prestando per cercare di arginare il dilagare delle fiamme. Certo, questi eroi appassionati non hanno una specifica preparazione e solo mezzi di fortuna, ma rischiando la propria pelle se non altro costituiscono un presidio che funge da deterrente alle azioni degli incendiari.
La memoria collettiva si è risvegliata: l’odore, la caligine, il pennacchio che svetta sul Vesuvio riportano ad uno scenario da tregenda, ai tempi in cui lo sterminator eruttava.
I rombi dei velivoli antincendioche 4incessantemente sorvolanoil cielo per gettare acqua sui focolai ricordano quelli dei bombardieri della IIGuerramondiale.
Al momento tutti gli sforzi non sono stati in grado di contrastare quella che si sta rivelando una vera e propria strategia di criminali: originariamente le fiamme erano state appiccate a Ercolano e a Ottaviano, ma in modo da impegnare le forze antincendio in più punti, rendendo così poco efficaci le loro azioni.
Queste atti scellerati sono stati favoriti inoltre dalla prolungata mancanza di pioggia, dalle elevate temperature e dal vento. Pare quasi che il fuoco cammini sottoterra, si nasconda sotto la pietra lavica per poi divampare in altri punti.
Si parla di ecoterrorismo, di crimine ambientale, di piromani, ma sono solo maniaci – e anche poco intelligenti – gestiti dalla malavita. Non c’è alcuna aura romantica né sorta di giustificazioni psicologiche.
Se ci fossero leggi più severe per punire questi criminali, magari, come dice l’Unione Europea, i responsabili di un danno ambientale avrebbero l’obbligo di ripristinare con i propri soldi e il proprio lavoro le condizioni precedenti all’evento criminale da essi perpetrato. Ma invece …
Per adesso non resta che esporre che esporre un drappo nero ai balconi, come chiedono i cittadini di San Vito, già assediati dai roghi tossici di Cava Sari, mai bonificata. Una discarica di scarti industriali in pieno Parco Nazionale del Vesuvio!
«Un segno di lutto per una zona di immenso valore per tutti e di cui nessuno si cura».