L’Italia e la vaccinazione anti Covid
Dal nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi: la vaccinazione contro il Covid-19 rappresenterà la più imponente campagna di massa mai tenutasi nel nostro Paese, una sfida immane
Come è stata una sfida immane arrivare al punto di disporre di vaccini contro il Covid in meno di un anno: il virus è stato sequenziato in Cina l’11 gennaio, il 16 marzo sono partiti i primi test di laboratorio per il vaccino, l’8 dicembre i primi vaccini sono stati somministrati in Gran Bretagna.
I ricercatori di tutto il mondo si sono impegnati in uno sforzo senza precedenti nella storia della Medicina, nel tentativo di comprimere al massimo i tempi per la realizzazione: un risultato eccezionale della ricerca che pone le basi per una rivoluzione di tecniche e metodi.
Lo sviluppo di un vaccino contro un agente infettivo è usualmente un processo lungo, complesso e impegnativo che può richiedere anche 10-20 anni e non sempre va a buon fine. Si parte dallo studio della struttura del microbo e dei suoi meccanismi patogenetici, per cercare di individuare la molecola da inserire nel vaccino che sia capace di stimolare nell’organismo in cui lo si somministra una risposta immunitaria efficace e protettiva e nello stesso tempo di non nuocere, quindi il vaccino elaborato viene studiato attraverso vari stadi: sperimentazione pre-clinica, con studi in vitro per valutare e standardizzare le componenti che andranno a costituire la componente attiva del vaccino, e su modelli animali per definire risposta immunitaria (efficacia) ed effetti avversi (sicurezza), poi fase di sperimentazione sull’uomo (studi clinici) attraverso un percorso che si svolge a sua volta in quattro passaggi.n
Negli studi di fase 1 il vaccino viene somministrato a un gruppo ristretto di persone sane per valutarne la tollerabilità (effetti tossici) e dunque la sicurezza, il dosaggio e la risposta del sistema immunitario.
Se i riscontri sono positivi le stesse valutazioni vengono fatte, nella fase 2, su una coorte più ampia di soggetti divisa per fasce d’età, confrontando effetti collaterali e immunogeni a vari dosaggi e intervalli di somministrazione.
Negli studi di fase 3 viene provata l’efficacia e sicurezza della dose individuata come più opportuna, su larga scala (decine di migliaia di persone, rappresentative dell’intera popolazione), con test randomizzati e controllati, per concludere se il vaccino ha effettivamente una funzione preventiva sulla malattia e dunque può ottenere l’approvazione dalle autorità regolatorie per procedere alla produzione e distribuzione su larga scala,
Infine gli studi di fase 4 consistono nel monitoraggio in corso di commercializzazione del prodotto e dunque in condizioni non sperimentali.
Nell’attuale contesto di emergenza sanitaria, è stata adottata la strategia di “combinare” le fasi 1 e 2 degli studi clinici: i prototipi sono stati testati direttamente sin dalla prima volta su centinaia di persone.
Obiettivo dei vaccini anti-Covid è indurre una risposta immunitaria contro la glico-proteina S (Spike) presente sulla superficie del virus e necessaria per l’aggancio ai recettori ACE2 che gli permettono l’ingresso nelle cellule: sia di tipo anticorpale, attraverso la stimolazione dei linfociti B a produrre anticorpi neutralizzanti, sia di tipo cellulare, tramite quelli T che distruggono le cellule infettate dal virus.
I vaccini sono diretti contro la proteina S in quanto, essendo essenziale al virus per infettare l’uomo, non dovrebbe essere soggetta a mutazioni e quindi i vaccini dovrebbero essere efficaci e duraturi. C’è tuttavia la possibilità che una vaccinazione di massa possa esercitare una forte pressione selettiva capace di spingere il virus a mutare. Ma questo si affronterà eventualmente in seguito.
In Italia, si partirà il 27 dicembre, in tutte le Regioni, con le prime somministrazioni del vaccino Pfizer-BioNTech. Le prime categorie coinvolte saranno il personale sanitario e socio-sanitario e gli operatori e ospiti delle Rsa | Residenze sanitarie assistenziali. La campagna vaccinale partirà simultaneamente agli altri Paesi membri dell’Unione Europea (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Svizzera), che hanno identificato questa data come quella del “V-Day”, il “Vaccine Day” europeo.
In Gran Bretagna e Stati Uniti le vaccinazioni sono già iniziate, grazie al fatto che le autorità regolatorie di questi Paesi hanno già approvato il vaccino. Il panel di esperti della Fda | Food and drug administration, l’autorità statunitense, ha espresso il proprio parere favorevole all’uso in emergenza del vaccino Pfizer, dichiarando che la totalità dei dati disponibili fornisce una chiara evidenza che può essere efficace nella prevenzione del Covid e che i benefici noti e potenziali superano i rischi noti e potenziali, supportandone l’uso in milioni di persone di età pari o superiore a 16 anni, compresi gli individui sani.
I dati che Pfizer ha presentato alla Fda suggeriscono che le persone potrebbero iniziare a produrre anticorpi già entro 10 giorni, ricevendo un certo livello di protezione in attesa della seconda dose. I farmacisti negli Stati Uniti hanno scoperto che dalle fiale si possono estrarre più delle 5 dosi previste, fino a 6 o 7, aumentando così fino al 40% le potenzialità delle forniture.
Nel corso della campagna, le vaccinazioni saranno via via estese ad altre categorie. La terza categoria sarà quella delle persone in età avanzata, sopra gli 80 anni (che hanno in genere anche più comorbidità).
Successivamente le persone oltre i 60 anni, le categorie appartenenti ai servizi essenziali quali gli insegnanti e il personale scolastico, le Forze dell’Ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità. Una vaccinazione di massa sarà affrontata infine verso la primavera-estate per essere conclusa in autunno.
L’adesione al vaccino sarà su base volontaria. Il vaccino sarà gratuito.
Nella prima fase a gennaio saranno 1,8 milioni le persone da sottoporre al vaccino. La seconda fornitura garantita da Pfizer sarà di 2 milioni e mezzo di vaccini, che consentiranno di somministrare la seconda dose e di avviare nuove vaccinazioni.
Per ottenere l’immunità di gregge, dovranno essere vaccinati 42 milioni di Italiani, pari al 60-70% della popolazione.
L’Italia ha opzionato all’uopo 202 milioni e mezzo di dosi (sul totale di 1,2 miliardi di dosi che l’Unione europea ha prenotato dalle aziende produttrici): una dotazione sufficientemente ampia per poter potenzialmente vaccinare tutta la popolazione italiana e conservare delle scorte di sicurezza.
In base agli accordi stipulati, le dosi saranno così distribuite: Pfizer-BionTech 26,92 milioni; Moderna 10,768 milioni; AstraZeneca 40,38 milioni; Johnson & Johnson 53,84 milioni; Sanofi-Gsk 40,38 milioni; CureVac 30,285 milioni.
Nel primo trimestre 2021 arriveranno dalla Pfizer-BionTech 8,749 milioni di dosi e da Moderna 1 milione e 346mila dosi. Il vaccino Sanofi-Gsk, in ritardo rispetto alle previsioni con le sperimentazioni, dovrebbe arrivare all’inizio del 2022. A causa di questo ritardo, la distribuzione dei vaccini si completerà entro 21 mesi, e non 15, come programmato in un primo momento.
La Pfizer spedirà le dosi verso un unico hub (centro) nazionale di stoccaggio, che sarà l’aeroporto militare di Pratica di Mare (frazione del comune di Pomezia), dove verranno depositate prima di essere spedite verso le Regioni. Il piano di distribuzione prevede quindi altri 20 hub regionali, da cui sarà trasferito, sempre a cura dell’azienda, in 300 presidi su tutto il territorio nazionale. Una delle ipotesi è che per la distribuzione del vaccino, come avvenuto per quella dei dispositivi sanitari a marzo, venga utilizzato il personale dell’esercito.
Il personale delle unità vaccinali sarà costituito da medici, infermieri, assistenti sanitari, OSS e personale amministrativo di supporto. Sono 3mila i medici e 12 mila infermieri e assistenti sanitari che saranno assunti a tempo determinato per gestire questa mega-operazione, compresi i medici in pensione.
Il vaccino Pfizer viene somministrato per via intramuscolare in due dosi da 0,3 ml ciascuna, somministrate a distanza di 21 giorni.
Inizialmente si utilizzeranno come sedi vaccinali gli ospedali e le unità mobili per le persone impossibilitate a spostarsi, poi via via per la campagna su larga scala si opererà nei centri vaccinali.
La vaccinazione avrà per slogan “L’Italia rinasce con un fiore” e come logo una primula, il fiore che, sbocciando per primo dopo il lungo inverno, annuncia il risveglio della primavera, assurgendo a simbolo di serenità e rigenerazione. Nelle piazze le vaccinazioni saranno eseguite in padiglioni temporanei, smontabili e riassemblabili, a forma di fiore.
È previsto un registro elettronico con l’anagrafe dei vaccinati per la farmacovigilanza (valutazione delle reazioni avverse) e il follow up su andamento della copertura e durata dell’immunità. Si sta studiando anche una app per il monitoraggio delle persone vaccinate.
L’Ema | European medicines agency valuterà il 21 dicembre la concessione dell’autorizzazione del vaccino Pfizer-BioNTech e il 6 gennaio quello Moderna. Inizialmente la riunione era fissata il 29 per il vaccino Pfizer e il 12 per il Moderna, poi grazie ad uno sforzo ulteriore delle aziende nel produrre i dati richiesti sono riusciti ad anticipare. Tempi così brevi di valutazione dell’agenzia europea, omologa della Fda negli USA, sono stati possibili grazie alla pratica innovativa della rolling review, cioè l’anticipo dello studio dei dati preliminari sul vaccino man mano che venivano aggiornati. Si tratterà di una autorizzazione all’immissione in commercio “condizionata”, cioè soggetta a continue valutazioni dei dati anche successivamente.
Una volta che l’Ema avrà dato il parere, la Commissione europea in pochi giorni concederà l’autorizzazione all’immissione in commercio in tutti gli Stati membri. Seguirà la pressoché immediata validazione dell’Aifa, Agenzia italiana del farmaco. L’Aifa ha anche costituito un Comitato scientifico per la stretta sorveglianza dei vaccini Covid-19 in Italia nell’utilizzo dopo la commercializzazione.
I vaccini opzionati dall’Italia per la campagna vaccinale sono quelli più pronti dei 62 i candidati vaccini contro il virus Sars-CoV-2 attualmente in fase di sperimentazione sull’uomo nel mondo (di cui 13 già nella fase 3, quella finale).
Il vaccino sviluppato dal gigante farmaceutico statunitense Pfizer e dalla società biotecnologica tedesca BioNTech è un vaccino genetico, frutto di una tecnologia mai usata finora sugli esseri umani, che impiega un segmento dell’RNA messaggero virale codificante per la sintesi della proteina Spike, incapsulato in una nanoparticella lipidica che lo veicola nelle cellule dell’organismo.
Il primo prototipo di questo vaccino, chiamato “BNT162b1”, è stato sperimentato nello studio di fase 1-2 con buoni risultati, pubblicati in pre-print (cioè senza la revisione di esperti sulla validità dei dati) il 1 luglio. Il vaccino ha mostrato buona capacità di produrre titoli di anticorpi neutralizzanti, ulteriormente aumentati dopo la seconda somministrazione, e simultanea risposta linfocitaria T.
Ciononostante, le aziende produttrici hanno annunciato, il 27 luglio, il passaggio in fase 2-3 di un altro vaccino a RNA, “BNT162b2”, che codifica per una regione diversa della proteina Spike rispetto al primo candidato, in quanto tollerato meglio e con più ampia varietà di risposte delle cellule T.
Lo studio di fase 2-3, randomizzato e controllato con placebo, è stato condotto su 43.500 volontari negli Stati Uniti e in altri Paesi tra cui l’Argentina, il Brasile e la Germania.
Dai dati preliminari dello studio emersi dalla cosiddetta “analisi ad interim” (una valutazione di metà percorso del trial) comunicati dalla Pfizer, su 94 volontari che si sono ammalati di Covid, l’efficacia è stata superiore al 90%, di gran lunga maggiore del 50%, soglia minima richiesta dalla FDA per l’autorizzazione all’uso di emergenza di un vaccino contro il Covid (50-60% è l’efficacia del vaccino antinfluenzale, 90% quella del morbillo).
In un successivo comunicato, l’azienda ha fornito i dati definitivi dello studio di fase 3: su un totale di 170 casi di Covid-19, l’efficacia è stata del 95%, in quanto solo 8 avevano ricevuto il vaccino, il resto il placebo; inoltre, delle 10 persone che hanno sviluppato una forma grave, una sola era stata vaccinata, mentre 9 erano nel gruppo placebo. Questi dati sono stati pubblicati sul NEJM il 10 dicembre.
L’immunizzazione è risultata indipendente da età, sesso, etnia, indice di massa corporea al basale e presenza di condizioni coesistenti. L’efficacia nel gruppo più a rischio, gli adulti con più di 65 anni, si è mostrata superiore al 94%. In base ai dati disponibili, il vaccino è utile nel prevenire l’infezione sintomatica clinica, ma è ancora incerto il suo effetto sulla prevenzione dell’infezione asintomatica e quindi sulla trasmissione da una persona all’altra. Allo stesso modo, ancora non è stato determinato per quanto tempo il vaccino fornirà protezione.
Dal punto di vista della sicurezza, benché i vaccini a RNAm siano considerati reattogenici, il vaccino negli studi è stato globalmente ben tollerato, con effetti collaterali per lo più da lievi a moderati: dolore nel punto dell’iniezione a breve termine, stanchezza, mal di testa, dolori muscolari e articolari, brividi e febbre. Più persone hanno sperimentato questi effetti collaterali dopo la seconda dose anziché dopo la prima. Gli effetti possono durare alcuni giorni. Purtroppo, problemi stanno venendo fuori nella fase post-sperimentazione.
Due operatori del sistema sanitario nazionale britannico hanno manifestato reazioni allergiche: entrambi avevano una storia significativa di allergie.
Negli USA, una operatrice sanitaria dell’Alaska ha sviluppato una grave reazione anafilattica 10 minuti dopo la somministrazione del farmaco, che ha richiesto cure intensive, secondo quanto riferisce il New York Times, benché non riferisse alcuna anamnesi per allergie.
L’autorità britannica di regolamentazione del farmaco (Mhra) ha diramato un’allerta controindicando a titolo precauzionale il vaccino per chi ha una storia significativa di reazioni allergiche a cibo, medicine o vaccini. Il panel della Fda ha chiesto a Pfizer di inserire le gravi reazioni allergiche tra gli effetti indesiderati.
Un grosso problema del vaccino Pzifer riguarda logistica, conservazione e trasporto: il vaccino ha bisogno di essere conservato a temperature estremamente fredde, sotto i 75 gradi, e non può resistere oltre 5 giorni a temperature di frigorifero di 2-8 °C. Mantenere una simile catena del freddo richiede infrastrutture particolari (impianti di refrigerazione, ultracongelatori, autocarri refrigerati), che è impensabile predisporre nei Paesi più arretrati, dove molti villaggi rurali non dispongono nemmeno di frigoriferi per i vaccini più comuni. Kalamazoo, contea del Michigan in USA, sede centrale del laboratorio Pfizer, e Puurs, in Belgio, saranno il quartier generale di stoccaggio del vaccino, all’interno di centinaia di grandi congelatori ultrafreddi; qualora la loro capacità logistica non dovesse bastare, altre due “fattorie del freddo” a Pleasant Prairie, nel Wisconsin, e a Karlsruhe, in Germania, sono pronte a fornire capacità di stoccaggio aggiuntiva.
Dai centri di stoccaggio il vaccino verrà trasportato in scatole di imballaggio delle dimensioni di una valigia, rese criogeniche riempiendole con ghiaccio secco (anidride carbonica solida), appositamente progettate da Pfizer. Ogni scatola (riutilizzabile) contiene circa 1.000 dosi a temperature ultra-fredde per un massimo di 10 giorni. Oltre 24 camion al giorno trasporteranno le scatole da Kalamazoo e Puurs agli aeroporti, dove circa 7,6 milioni di dosi al giorno attraverso 20 aeromobili saranno distribuite in tutto il mondo. Il vaccino sarà trasferito in ogni punto di somministrazione in apposite borse di conservazione contenenti, al massimo, 5 scatole, dove può resistere 15 giorni, o 6 mesi, qualora si disponga di celle frigorifere a temperatura di -75 gradi. La distribuzione sarà completamente a cura dell’azienda, che si occuperà del trasporto dei vaccini nei luoghi dove verrà somministrato.
Le fiale congelate a -75°C per l’utilizzo devono essere trasferite a 2-8 °C per farle scongelare lentamente; una confezione da 195 fiale può richiedere 3 ore per scongelare. In alternativa, le fiale congelate possono anche essere scongelate per 30 minuti a massimo 25 °C per un utilizzo immediato. Una volta scongelato, il vaccino non diluito può essere conservato per un massimo di 5 giorni a una temperatura compresa tra 2 °C e 8 °C ovvero fino a 2 ore a temperature fino a 25 °C.
Sarà necessario personale qualificato e addestrato data la peculiarità del vaccino: sia perché deve essere in grado di maneggiare materiale a temperature così basse senza ustionarsi, sia per garantire il perfetto mantenimento della catena del freddo.
Gli Stati Uniti hanno già ordinato 100 milioni di dosi, con la possibilità di prenotarne altri 500 milioni; la Commissione Europea, agendo per conto degli Stati membri, ne ha ordinati 200 milioni con un’opzione per altri 100 milioni. Tra queste, i 27 milioni di dosi per l’Italia. Pfizer e BioNTech hanno accordi di fornitura anche con il Regno Unito, il Canada e il Giappone.
La Pfizer ha dichiarato che entro fine anno potrebbe disporre fino a 50 milioni di dosi, sufficienti per proteggere 25 milioni di persone. Entro la fine del 2021, la produzione del vaccino dovrebbe raggiungere 1,3 miliardi di dosi.
Il vaccino dell’azienda statunitense Moderna, con sede a Cambridge nel Massachusetts, è stato sviluppato in collaborazione con il Niaid | Vaccine Research Center dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettivedegli Stati Uniti, diretto da Anthony Fauci. Come quello Pfizer, è un vaccino genetico, che usa l’RNA messaggero del Sars-CoV-2 codificante per la proteina Spike incapsulato in una nanoparticella lipidica che veicola il gene nelle cellule dell’organismo umano per stimolare la reazione immunitaria diretta contro essa (vaccino “mRNA-1273”).
I risultati degli studi pre-clinici (sui macachi) pubblicati sul New England Journal of Medicine hanno indicato che il vaccino induce la produzione di anticorpi neutralizzanti, proteggere le vie respiratorie ed evita lesioni ai polmoni. Anche lo studio di fase 1-2 su alcune decine di adulti sani (18-55 anni) e adulti più anziani (56-70 anni e oltre 70 anni), pubblicato sempre dal New England Journal of Medicine, ha dato buoni esiti: i test hanno evidenziato la capacità del vaccino di indurre una marcata reazione immunitaria, con la produzione di anticorpi neutralizzanti e una risposta cellulo-mediata. La risposta immunitaria alla dose da 100 milligrammi negli individui di 56-70 anni e dai 71 anni in su è stata simile a quella che si raggiunge negli adulti più giovani.
Pertanto, il 27 luglio, i National Institute of Health, di cui il Niaid fa parte, hanno annunciato l’avvio dello studio di fase 3 della sperimentazione, definito “COVE”, in 89 siti americani su circa 30.000 volontari sani.
L’azienda produttrice ha reso noto a metà novembre con un comunicato-stampa sul New York Times che il vaccino è efficace al 94,5%, sulla base della prima analisi ad interim dalla sperimentazione in corso di fase 3 ad opera di un comitato indipendente: su 95 partecipanti che hanno sviluppato il Covid-19, 90 facevano parte del gruppo cui è stato dato un placebo e 5 del gruppo cui è stato somministrato il vaccino.
L’analisi ha anche identificato un totale di 11 casi gravi nel braccio del placebo, e nessuno nel braccio del vaccino. I dati definitivi, resi noti il 30 novembre, dello studio COVE rilevano, su 196 casi di Covid-19, un’efficacia pari al 94,1%, dato che 185 casi sono stati osservati nel gruppo placebo e 11 nel gruppo del candidato vaccino. L’efficacia arriva al 100% se si considera la prevenzione di casi gravi di Covid-19: se ne sono verificati 30 e tutti nel gruppo di controllo. Ad oggi, nello studio si è verificato un solo decesso correlato a Covid-19, nel gruppo placebo. Il vaccino dovrebbe avere una copertura di almeno tre mesi dopo la seconda dose. È partito negli USA a dicembre anche lo studio di fase 2-3 del vaccino su3.000 adolescenti da 12 ai 18 anni.
Gli effetti collaterali sono prevalentemente lievi o moderati, secondo i dati della sperimentazione di fase 1, come dolore nel punto dell’iniezione, mal di testa, dolori muscolari, febbre, stanchezza. La dose provata è risultata ben tollerata in fase 2 anche dagli adulti più anziani, senza eventi avversi gravi. Non si sono verificati gravi effetti collaterali neanche nella fase 3; le reazioni più comuni includono eritema o dolore al sito di iniezione, affaticamento, mialgia, artralgia, mal di testa.
Il vaccino prevede la somministrazione di due dosi per via intra-muscolare a 28 giorni di distanza.
Rispetto al vaccino Pfizer, il Moderna è stabile a temperature di refrigerazione standard dai 2 agli 8 gradi centigradi per 30 giorni (quindi anche nei più comuni frigoriferi di casa) e fino a 6 mesi a meno 20 gradi, per la spedizione e lo stoccaggio a lungo termine (temperature standard da congelatore). I primi 20 milioni di dosi prodotte saranno destinati al mercato americano entro la fine del 2020. L’azienda sta aumentando la sua capacità produttiva globale per essere in grado di erogare circa 500 milioni di dosi all’anno e se possibile fino a 1 miliardo di dosi.
La Commissione europea ha approvato un contratto con la società farmaceutica Moderna che prevede l’acquisto iniziale di 80 milioni di dosi per conto di tutti gli Stati membri dell’Ue, con l’opzione di richiedere fino a 80 milioni di dosi ulteriori, per un totale di una fornitura di 160 milioni di dosi. Tra queste, i 10,768 milioni destinati all’Italia, di cui 1 milione e 346mila dosi nel primo trimestre 2021.
Il vaccino Astrazeneca/Irbm/Oxford è stato sviluppato dallo Jenner Institute dell’Università di Oxford in collaborazione con l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia e sarà distribuito dalla multinazionale britannica AstraZeneca. Si tratta di un vaccino vettoriale, in cui un adenovirus inattivato di scimpanzé (vettore adenovirale sierotipo 26) è stato modificato geneticamente per inserirvi il gene che codifica la proteina Spike del Sars-CoV-2, recandola nell’organismo per stimolarne la risposta immunitaria. È basato su un modello già provato dagli studiosi inglesi contro Sars e Mers, adattato al Covid grazie a una sensazionale accelerazione della ricerca, che ha portato in pochi mesi a risultati che normalmente richiedono cinque anni.
Attualmente il vaccino è nella fase 3 della sperimentazione clinica. Il 20 luglio sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet i risultati preliminari del trial randomizzato in doppio cieco di fase 1-2 condotto in cinque siti del Regno Unito. Sono stati arruolati 560 partecipanti, di cui 160 di età compresa tra 18 e 55 anni, 160 di età 56-69 anni, e 240 di età uguale o superiore a 70 anni. I volontari hanno ricevuto il candidato vaccino a dosaggio basso e standard, o un vaccino di controllo (meningococcico quadrivalente).
I test hanno evidenziato una robusta risposta immunitaria anche nelle persone anziane, del tutto simile a quella che il prototipo aveva mostrato già tra un migliaio di adulti, di età compresa tra 18 e 55 anni, durante la fase 1. Il candidato vaccino si è dimostrato in grado di stimolare la produzione di anticorpi protettivi, inoltre potrebbe fornire una protezione anche da parte delle cellule T killer.
Le reazioni locali e sistemiche (dolore al sito di iniezione, febbre, dolori muscolari, mal di testa) sono risultate più frequenti nei partecipanti che avevano ricevuto il vaccino Covid che in quelli di controllo ma meno comuni negli anziani (più di 56 anni) rispetto agli adulti più giovani. Si sono verificati 13 eventi avversi gravi durante il periodo di follow up, nessuno dei quali è stato considerato correlabile al vaccino in esame o a quello di controllo.
Nei partecipanti che hanno ricevuto due dosi di vaccino, la mediana delle IgG anti-spike SARS-CoV-2 28 giorni dopo la seconda dose erano simili in tutte le tre coorti di età. Anche i titoli di anticorpi neutralizzanti dopo la seconda dose erano simili in tutte le fasce di età: 14 giorni dopo il booster, oltre il 99% dei 209 partecipanti avevano risposte anticorpali neutralizzanti. Le risposte ai linfociti T hanno raggiunto il picco al 14º giorno dopo la dose standard. Lo studio di fase 3 coinvolge attualmente un totale di 60 mila volontari in Gran Bretagna, Brasile, Usa e Sud Africa.
AstraZeneca ha annunciato a fine novembre i risultati di efficacia preliminari su circa 20.000 volontari, per metà nel Regno Unito e per metà in Brasile, e di aver deciso di intraprendere uno studio globale supplementare con il dosaggio più basso tra i due sperimentati (mezza dose, seguita da una intera dopo un mese), per verificarne l’efficacia che, in base ai primi dati disponibili, sembra superiore (raggiungendo un’efficacia del 90%) rispetto al dosaggio pieno sia nella prima che nella seconda dose (62%).
Il nuovo studio globale sarà veloce perché richiede il coinvolgimento di un numero inferiore di partecipanti. Le nuove sperimentazioni saranno trasformate da “doppio cieco” in “aperto”: tutti i partecipanti potranno sapere se è stato somministrato loro il preparato sperimentale o il placebo. I risultati definitivi dello studio di fase 3 sono apparsi su The Lancet l’8 dicembre confermando quanto emerso dall’analisi ad interim di novembre: il vaccino è efficace al 70,4%, con valori del 62% tra i partecipanti che hanno ricevuto due dosi piene e un picco del 90% tra coloro ai quali è stata inoculata mezza dose seguita da una intera il mese successivo. Non sono emersi elementi che chiariscano questa discrepanza: sarà necessario dunque uno studio ad hoc calibrato su questa dose, come anticipato dall’azienda. E’ particolare il fatto che il dosaggio poi rivelatosi efficace sia nato da un errore nel somministrare metà dose alla prima somministrazione.
Il vaccino è risultato sicuro, senza effetti collaterali gravi: è stata dimostrata in fase 2 una tollerabilità simile a quella del vaccino per l’influenza. Il 6 settembre in un volontario in Gran Bretagna era stata rilevata una grave infiammazione spinale, ma la Medicines Health Regulatory Authority (Mhra), preso atto dell’indagine del Comitato indipendente che ha escluso la reazione possa essere stata una conseguenza diretta della vaccinazione, ha autorizzato il prosieguo delle sperimentazioni. Già un altro volontario aveva precedentemente mostrato una reazione sospetta, poi dimostratasi non collegata al vaccino.
La schedula vaccinale prevede la somministrazione di 2 dosi per via intra-muscolare a distanza di 28 giorni.
Il primo ottobre l’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha annunciato di aver iniziato ad analizzare i dati del prototipo oxfordiano, secondo la procedura della “rolling review”. Se tutto andrà a buon fine, entro fine anno-inizio 2021 il vaccino dovrebbe essere consegnato all’Ue nella quantità di 20-30 milioni di dosi, mentre da marzo 2021 potrebbe avvenire la distribuzione su larga scala. AstraZeneca ha negoziato con la Ue una fornitura di 300 milioni di dosi, con la possibilità di fornirne ulteriori 100 milioni, per un totale di 400 milioni di dosi. Il vaccino è stato prenotato anche da Regno Unito e Usa. L’azienda prevede che 200 milioni di dosi saranno disponibili entro il 2020 e 3 miliardi di dosi nel 2021.
Il vaccino Johnson & Johnson è un prototipo vettoriale (come quello Astrazeneca) prodotto dalla Janssen, divisione farmaceutica dell’azienda americana Johnson & Johnson (J&J). A settembre, l’azienda ha dato comunicazione della forte risposta immunitaria e del buon profilo di sicurezza fatti registrare dal suo candidato in studi clinici di fase 1-2. Sulla base di questi risultati, la big pharma ha dato il via a uno studio di fase 3 chiamato ENSEMBLE su 60.000 persone, esteso a diversi Paesi in tre continenti, i cui risultati sono previsti per la fine di quest’anno o inizio del 2021. L’azienda ha ripreso a novembre il reclutamento, l’arruolamento e la vaccinazione dei volontari in Europa (Germania, Paesi Bassi, Spagna, Belgio) dopo una “pausa di studio” da metà ottobre a causa dell’insorgenza di una insospettata patologia in uno dei partecipanti al trial, che è stata oggetto di revisione e valutazione da parte del comitato indipendente di monitoraggio della sicurezza dello studio, che hanno escluso correlazione col vaccino. Le sperimentazioni sono in corso anche negli Stati Uniti, in Sudafrica e in America Latina. Lo studio più grande è negli USA, dove il numero di persone arruolate è stato diminuito da 60.000 a 40.000, grazie al fatto che il virus circola a livelli tali nel Paese da essere ragionevolmente certi che un numero sufficiente di infezioni si raggiungerà anche nel campione più piccolo.
Il vaccino prevede una singola dose. La richiesta alla Fda di autorizzazione all’uso di emergenza si presuppone per l’inizio del 2021. Obiettivo dell’azienda è provvedere a una fornitura globale di oltre 1 miliardo di dosi di vaccino nel 2021.
Il vaccino messo a punto dalle due multinazionali Sanofi e Gsk è prodotto negli stabilimenti Sanofi-Pasteur in Italia (Anagni), Francia e Germania. E’ un vaccino DNA-ricombinante adiuvato in subunità, basato su una tecnologia consolidata che è la stessa che Sanofi adotta già con successo per la produzione del vaccino antinfluenzale quadrivalente ricombinante. Il vaccino Sanofi-Gsk dopo lo studio di fase 2 (uno studio clinico randomizzato su 440 adulti sani in 11 siti di sperimentazione negli Stati Uniti) è entrato in fase 3, dove però non è risultato protettivo per chi ha più di 49 anni, probabilmente a causa di dosaggi troppo bassi, per cui è stato prospettato un nuovo studio di fase 3 a dosaggi più alti. Questa battuta di arresto non lo renderà pronto prima della fine del 2021- inizio del 2022. Secondo gli accordi siglati con l’Ue, Sanofi, in partnership con GSK, dovrebbe fornire 300 milioni di dosi del vaccino, con l’obiettivo di arrivare nel tempo a 1 miliardo di unità. Inoltre, le aziende hanno preso accordo con l’organizzazione internazionale COVAX Facility per rendere disponibili 200 milioni di dosi del loro vaccino a favore di coloro che ne hanno bisogno.
Il vaccino di CureVac, azienda tedesca, è un prototipo a RNA simile a quelli di Pfizer e di Moderna. Tuttavia, l’azienda ha dichiarato una stabilità a temperature molto più alte degli altri due vaccini a RNA; se quindi questo vaccino risulterà efficace in fase 3, avrà gli stessi vantaggi logistici dei vaccini tradizionali, pur essendo un prodotto innovativo a base di RNA.
Altri vaccini. La Commissione Ue ha concluso i colloqui esplorativi per l’acquisto del vaccino sviluppato dalla statunitense Novavax. Il contratto, una volta firmato, darà agli Stati membri la possibilità di acquistare 100 milioni di dosi con un’opzione per ulteriori 100 milioni.
Poi ci sono i vaccini cinesi. Le compagnie Sinovac e Sinopharm hanno optato per un approccio “classico”, mettendo a punto vaccini composti dal virus Sars-CoV-2 inattivato. Sinopharm e Sinovac hanno dichiarato, in comunicati stampa, che i loro vaccini inattivati stanno dando risultati promettenti e hanno portato alla produzione di anticorpi in tutti i partecipanti degli studi preliminari di fase 1 e 2. Sinovac ha lanciato una sperimentazione di fase 3 del suo vaccino in Brasile, dove è previsto l’arruolamento di circa 9.000 operatori sanitari. Sinopharm testerà i suoi vaccini inattivati nella fase 3 su 15.000 volontari degli Emirati Arabi Uniti. Le reazioni avverse segnalate sono di grado lieve o moderato, quella sistemica più comune è la febbre. I vaccini sono somministrati in due dosi. Un’altra ditta cinese, CanSino Bio, ha messo a punto un vaccino vettoriale: inocula nel corpo la proteina Spike usando come vettore un Adenovirus tipo 5 inattivato. Testato contro placebo su 508 partecipanti in uno schema a due dosi, ha prodotto titoli elevati di anticorpi neutralizzanti e risposte specifiche delle cellule T. Il 25 giugno l’esercito cinese ha approvato questo vaccino come “specially needed drug” (un farmaco di cui si ha particolarmente bisogno), il che lo renderà il primo vaccino approvato per uso limitato (sarà somministrato solo ai militari). E’ prevista la somministrazione di una sola dose di vaccino per via intramuscolare nel deltoide. Il governo cinese ha stipulato accordi per distribuire i suoi vaccini in Africa, Medio-Oriente e Sud-est asiatico.
In Italia, si guarda con interesse al vaccino dell’azienda bio-tecnologica ReiThera (Castelromano, Roma), il GRAd-COV2, basato su un vettore adenovirale. Il progetto di sviluppo del vaccino è sostenuto dal Ministero della Ricerca con il Cnr e dalla Regione Lazio. Il vaccino ha dimostrato di essere sufficientemente sicuro e immunogenico nei modelli animali. L’Agenzia Italiana del Farmaco ne ha autorizzato ad agosto la sperimentazione di fase 1, dopo il parere positivo dell’Istituto Superiore di Sanità e del Comitato etico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma (dove viene effettuato lo studio, assieme al Centro Ricerche Cliniche Verona). Lo studio di fase 1 sta valutando la sicurezza e l’immunogenicità del GRAd-COV2 in 90 volontari sani in due coorti sequenziali: una popolazione di 45 soggetti di età compresa tra 18 e 55 anni e un’altra di 45 soggetti tra 65 e 85 anni. Per entrambe le coorti sono previsti tre bracci di trattamento a tre dosi crescenti, composti da 15 partecipanti ciascuno, per un totale di 6 gruppi. Le prime indicazioni che arrivano dalla sperimentazione sui volontari tra i 18 e i 55 anni dicono che questo vaccino è sicuro e induce una consistente risposta immunitaria, con la produzione sia di anticorpi neutralizzanti specifici sia di una forte risposta da parte dei linfociti T. Appena disponibili anche i dati dei volontari di età superiore ai 65 anni, inizieranno le fasi 2 e 3 della sperimentazione.
Ora che siamo arrivati alle soglie della distribuzione del vaccino pandemico all’umanità, taluni avanzano dubbi su efficacia e sicurezza di vaccini prodotti e sperimentati in così poco tempo. Tuttavia, l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha ribadito che le procedure attuate hanno abbreviato la burocrazia per la revisione e l’approvazione dei nuovi vaccini, ma non hanno certo lesinato sulla sicurezza: non è stata saltata alcuna fase, tappa o passaggio tra quelli previsti dai protocolli internazionali. Mediamente per autorizzare un farmaco ci vuole 1 anno, mentre Ema ha ridotto i tempi a 3 mesi grazie al processo di rolling review che permette di valutare preventivamente i dati parziali dagli studi in corso. Da Ema (come dalla Fda statunitense) c’è la garanzia che non c’è nessuna scorciatoia all’approvazione dei vaccini: le autorizzazioni all’immissione in commercio vengono concesse solo in base a prove solide che dimostrino che i benefici del vaccino superano i rischi noti o potenziali e al soddisfacimento di tutti i requisiti previsti a livello globale dalle agenzie regolatorie internazionali. Inoltre, sono state adottate procedure che consentono la revisione ciclica dei dati di sicurezza ed efficacia sui partecipanti allo studio anche dopo la commercializzazione: la cosiddetta “Conditional market authorization”, secondo cui le aziende continueranno a essere sotto stretta osservanza e dovranno continuare a generare dati anche dopo l’autorizzazione.
Per ora gli studi si sono concentrati sulla sicurezza dei vaccini, altri aspetti saranno chiariti via via che saranno usati su milioni di persone.
Non è nota ad esempio al momento la durata della protezione vaccinale a lungo termine, né se e quando saranno necessarie dosi di richiamo periodiche. Facendo riferimento all’esperienza della Sars, si presuppone una protezione fra 6 e 12 mesi, con necessità di un richiamo dopo 1 anno.
Non si sa inoltre se il vaccino sia in grado di impedire solo la malattia o anche l’infezione asintomatica e dunque la diffusione del virus. Esiste la possibilità che chi è stato vaccinato sia suscettibile di un’infezione asintomatica e quindi sia contagioso.
Non è chiaro neppure se coloro che hanno già contratto il virus debbano o meno essere vaccinati. Qualcuno suggerisce di verificare prima il livello di anticorpi, il problema è che non sappiamo anche se sono presenti se garantiscano l’immunità. Ad oggi si stima che 1 italiano su 36 sia stato contagiato. Ma sarebbe difficile pensare di identificarli tutti ed escluderli dalla vaccinazione senza sapere se poi possano riammalarsi.
Dubbi anche se la strategia migliore sia vaccinare per prime, come si è deciso di fare, le categorie più fragili (anziani): secondo i ricercatori della University of Southern California e della Johns Hopkins l’approccio più efficace sarebbe esattamente l’opposto, cioè, dopo i sanitari, vaccinare i più grandi diffusori del virus, cioè i giovani (un recente studio condotto in India ha dimostrato che i giovani da 20 a 35 anni sono i maggiori responsabili dei contagi del Covid), e solo dopo i più vulnerabili, come suffragato da alcuni studi fatti durante la pandemia influenzale del 2009, che hanno dimostrato che il modo migliore di limitare la diffusione del virus, e proteggere così i più vulnerabili, è immunizzare per primi i più giovani, che fungono da “cavallo di Troia” per gli anziani di casa.
Un nodo fondamentale è quello dell’accesso al vaccino equo e sostenibile per tutti, anche per le fasce più fragili della popolazione e i Paesi a medio e basso reddito. E questo per questioni etiche, dato che i vaccini vanno considerati un bene pubblico globale, governato da principi di uguaglianza, giustizia, responsabilità e solidarietà, ma non solo: una strategia realistica di contenimento ed eventualmente di eradicazione del Covid-19 prevede che il vaccino venga reso universalmente disponibile, per quanto ciò appaia complesso, onde scongiurare ondate epidemiche successive. Immaginare di rimanere protetti dal proprio sistema sanitario e al sicuro dentro le proprie frontiere, oggi non è più concepibile: i virus non conoscono confini e la tutela della salute di tutti dipende dal modo in cui si organizzeranno le risposte globalmente. Nessuno è al sicuro fino a quando non lo saranno tutti. Al fine di garantire una distribuzione ubiquitaria è stata costituita COVAX, una collaborazione globale di governi, organizzazioni sanitarie, aziende e organizzazioni filantropiche che lavorano per accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo ai vaccini Covid-19, guidata da Gavi, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) e Oms.