L’incubo delle varianti del Covid
Il nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, spiega quante e quali sono le varianti del Coronavirus e l’importanza dei vaccini e delle norme sanitarie
I coronavirus, così chiamati per la caratteristica forma “a corona”, sono una famiglia di virus a RNA molto diffusi in natura, che possono causare malattie in vari animali e negli esseri umani, dal comune raffreddore a malattie gravi come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), la sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e il Covid-19.
Quando si replicano all’interno delle cellule umane, tutti i virus possono “mutare”, a causa del verificarsi di errori nella trascrizione del loro genoma. Questo processo avviene continuamente, quindi l’emergere di nuove varianti è un evento comune. I virus a RNA, come i Coronavirus, sono soggetti a mutazioni durante la replicazione almeno 1.000 volte più spesso rispetto a quelli a DNA, per la mancanza di meccanismi efficienti di riparazione molecolare. La maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo sulla diffusione del virus, ma alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono fornirgli il vantaggio di una maggiore trasmissibilità o resistenza alle difese dell’ospite, per cui quella variante si afferma nella popolazione.
Finora sono state identificate in tutto il mondo centinaia di varianti del Sars-CoV-2. Si avanza l’ipotesi che le varianti più significative possano essersi originate da pazienti immunocompromessi con un’infezione di lunga durata, che permetterebbero al virus di evolversi più a lungo all’interno dell’ospite umano. Clinicamente, le varianti non determinano una malattia distinguibile da quella provocata dal virus originario dalla Cina.
Tre nuove varianti preoccupano di più gli esperti: quella del Regno Unito, quella del Sud Africa e quella del Brasile.
A partire dalla fine del mese di settembre 2020, si è sviluppata nel Sud-Est della Gran Bretagna una variante del virus denominata VOC202012/01 o B.1.1.7, che, causando una maggiore trasmissibilità (del 30-50% in più), si è diffusa in misura notevole sino a rappresentare a dicembre oltre il 50% dei nuovi casi nel Regno Unito, associandosi ad una impennata di incidenza epidemica. Non è stato confermato invece che colpisca di più i bambini.
Secondo uno studio della London School of Hygyene and Tropical Medicine, questa variante avrebbe anche una letalità maggiore del 35% circa rispetto al ceppo virale originario, ma ciò non è stato confermato. L’aumento delle ospedalizzazioni e dei morti può essere proporzionale infatti all’aumento del numero dei casi, ma anche a una maggiore carica virale nei pazienti infettati, entrambe conseguenti alla maggiore trasmissibilità. Della variante si è già verificata un’ampia diffusione internazionale: a oggi sono oltre 80 le Nazioni ad averne notificato almeno un caso di infezione.
In Francia la prevalenza è del 20-25%, in Germania sopra il 20%. In Italia, è ormai diffusa nell’88% del territorio nazionale, ed è responsabile del 18% nei nuovi casi di contagio, quasi 1 contagio su 5. Probabilmente la variante è destinata a diventare quella prevalente nei prossimi mesi sul territorio nazionale e in tutta Europa.
Le Regioni caratterizzate da una maggiore circolazione della variante sono risultate Abruzzo (tra Pescara e Chieti fino al 58%, seguite da Teramo e L’Aquila con il 20%), la Lombardia (30), la Campania (25), il Veneto (20) e il Lazio (18). Uniche Regioni dove non è stata isolata al momento sono Valle d’Aosta, Sardegna, Basilicata, provincia autonoma di Trento.
Il Sudafrica ha segnalato a fine 2020 un’altra variante, designata come 501Y.V2 o B.1.351, anch’essa caratterizzata da maggiore trasmissibilità, tanto che in breve è diventata la forma dominante nel Paese e si è resa responsabile di una grave recrudescenza epidemica, mentre al momento non è chiaro se provochi differenze nella gravità della malattia. In Italia abbiamo al momento piccoli cluster di importazione, come in Alto Adige.
Una terza variante è stata recentemente individuata in Brasile e in Giappone (sempre ad origine dal Brasile): denominata B.1.1.28.1 o più semplicemente P.1, è caratterizzata anch’essa da una maggiore contagiosità e sembra aumentare la probabilità di re-infezione, mentre non sono disponibili evidenze sulla gravità della malattia. In Italia è presente in diversi focolai in Centro Italia, tra Umbria e Toscana, ma anche in Lombardia, Liguria, Veneto.
Esistono altre varianti minori, meno diffuse, per esempio almeno 7 tipi diversi sono stati isolati negli Stati Uniti.
Recentemente a Napoli è stata individuata, per la prima volta in Italia, in un professionista (asintomatico) di ritorno da un viaggio in Africa, una variante rara, la B.1.525, di cui è descritto un centinaio di casi nel mondo (Africa, Stati Uniti e alcuni Paesi europei). Il Paese che finora ha isolato di più questa variante è la Gran Bretagna (39 casi), seguita da Danimarca (35), Nigeria (29), Stati Uniti (10), Canada e Francia (5 casi ciascuna), Ghana (4), Australia e Giordania (2 casi ciascuna) e infine Singapore, Finlandia, Belgio, Spagna e adesso anche Italia, con 1 caso ciascuna. Dotata di mutazioni simili alla variante inglese, di questa forma non si conoscono ancora il potere di infezione né altre sue caratteristiche.
Il rischio delle mutazioni è che possano ridurre la capacità degli anticorpi monoclonali e dei vaccini di neutralizzare il virus, essendo stati questi costruiti prendendo come bersaglio la proteina Spike del virus originario. Per quanto riguarda i vaccini a mRNA attualmente approvati, ovvero Pfizer/BioNTech e Moderna, la loro efficacia non sembrerebbe ridotta dalla variante inglese. Infatti, in Israele l’efficacia della vaccinazione non è stata intaccata, sebbene la variante sia presente in maniera predominante. Invece, la variante sudafricana sarebbe 6 volte meno sensibile agli anticorpi prodotti dai vaccini a RNA. Dubbi anche per la protezione sulla variante brasiliana. Va considerata tuttavia sempre la protezione da parte dell’immunità cellulare sviluppata grazie ai vaccini.
Per quanto riguarda il vaccino AstraZeneca, sembrerebbe efficace contro la variante inglese, ma in misura molto limitata nei confronti delle forme sintomatiche lievi o moderate causate dalla variante sud-africana (22% di protezione soltanto). Peraltro, una nuova insidia è data da una variante della variante inglese, caratterizzata da una mutazione nella posizione E484K della Spike (presente anche nelle varianti sudafricana e brasiliana, e in quella rinvenuta a Napoli), che le dà maggiore resistenza ai vaccini.
Le aziende produttrici dei vaccini contro il Covid-19 stanno lavorando per adattare i loro prodotti a combattere le nuove varianti in maniera efficace, aggiornandone la composizione o studiando di aggiungere una dose di richiamo. Vaccinare nel più breve tempo possibile il maggior numero di persone è una strategia importante per bloccare la diffusione delle varianti, che si sviluppano quanto più il virus circola da persona a persona.
Un altro problema delle varianti è che possono inficiare l’utilità del test antigenico rapido, se non di ultima generazione (non il molecolare).
L’emergenza di nuove varianti potrebbe dare ragione dei dati dell’ultimo monitoraggio che vedono per la terza settimana consecutiva un peggioramento dell’andamento dell’epidemia in Italia.
Questo rischio rafforza l’importanza, per chiunque, compresi coloro che hanno avuto l’infezione o che sono stati vaccinati, di aderire rigorosamente alle misure di controllo sanitarie e socio-comportamentali (l’uso delle mascherine, il distanziamento fisico e l’igiene delle mani).
Al fine di limitare la diffusione di nuove varianti, l’Italia ha disposto specifiche azioni di sanità pubblica: rafforzare la sorveglianza di laboratorio nei confronti delle nuove varianti (potenziando l’attività di sequenziamento, che secondo gli standard fissati dalla Commissione Europea dovrebbe coprire almeno il 5%, idealmente il 10%, dei tamponi molecolari positivi al Sars-CoV-2), implementare le attività di contact-tracing nei casi di infezione da variante, aumentare la quarantena a 14 giorni, limitare gli ingressi in Italia dei viaggiatori provenienti dai Paesi più colpiti, disporre misure di contenimento (aree rosse) nelle aree più interessate dalla loro diffusione.
Non è da escludere, come chiede la Fondazione Gimbe, che la diffusione delle nuove varianti costringa ad un nuovo lockdown generale per almeno 2-3 settimane come stanno facendo Germania e Regno Unito.
Intanto, la Commissione europea ha presentato un nuovo e immediato piano d’azione per preparare l’Europa alla crescente minaccia delle varianti chiamato “HERA Incubator”, attraverso lo sviluppo di test specializzati per il sequenziamento genomico, monitoraggio della diffusione nelle popolazioni, studio di vaccini e farmaci aggiornati ed efficaci contro le nuove varianti del virus.