La Riflessione, Il diritto di uccidere
Un libro che spazia da contenuti etici e sociologici a spettacolo, musica, ricordi e gastronomia: Il diritto di uccidere di Michele Ieri
di Ettore Sannino
Un filone letterario che sembra essere diventato ormai inesauribile, è quello del genere poliziesco, termine nel quale includo sia il genere giallo, che il noir, che il thriller.
La presa sul pubblico di un tale genere risulta essere elevatissima e le vendite dei libri che trattano questi argomenti sono altrettanto elevate.
Non voglio perciò esimermi, in questa rubrica, a trattare questo genere e lo faccio con grande piacere perché vi parlerò di uno scrittore emergente, non di mestiere, ma che, a mio parere, ha saputo coniare e fondere insieme un po’ tutta la letteratura di genere.
Inoltre, ed è cosa importante per me, vi parlerò del libro di un amico, di Il diritto di uccidere di Michele Ieri.
Dicevo che ha saputo fondere assieme tutti i generi caratterizzanti di questo settore.
Ci sono due investigatori, Riccardo Bencivenga e Giandomenico Modugno, che lui chiama Ric e Giando, riportandoci ironicamente ai due comici della rivista italiana degli anni sessanta/settanta e questo è il primo richiamo a qualcosa che esula dalla lettura di un giallo/noir/thriller, costringendoci un attimo a sorridere e riandare con la memoria al passato di chi, come me, a quell’epoca era ragazzo.
Parliamo di un ex poliziotto, Ric, milanese, taciturno, poco propenso a scherzare, raccolto nei suoi pensieri, nella sua vita da single, innamorato di una donna che esiste ma non nella sua vita.
E poi c’è Giando, criminologo, napoletano, vulcanico, eccentrico nei modi e nel vestire, ha una ex moglie, un figlio, una donna ed esercita un certo fascino sul gentil sesso, che lui gioiosamente ricambia.
Ric, milanese, trapiantato a Napoli, conosce Giando sui banchi di scuola di un liceo partenopeo, poi succede che insieme si ritrovano entrambi a vivere a Milano ed insieme fondano un’agenzia investigativa.
Lo sfondo delle loro azioni è la città di Milano, raccontata da Ric con scontatezza, mentre Giando ne descrive i colori, gli odori, i suoni, la gente, svelando un amore forte per questa città.
Di tanto in tanto compare qualche splendida fanciulla, in abiti attillati, minigonne vertiginose, sguardi da femme fatale, rimandandoci a caratteristiche di chandleriana memoria.
Infine c’è il terzo amico, Pasquale, ‘o zappatore, come scherzosamente lo sfottono i nostri due protagonisti, che fa il questore a Como e che di fatto gli affida un primo caso – di cui tratta il promo libro Nessuno deve sapere – che loro risolveranno brillantemente e che poi, mentre la loro fama investigativa cresce seguendo altre strade, gli affida questo caso di cui racconta Il diritto di uccidere.
Non ci si può esimere dal fare riferimento ad Hap e Leonard, la strampalata coppia di detective nata dalla penna di Jhon Lansdale. Leonard è un grintoso omosessuale di colore, Hap un bianco malinconico e pacioso. Sono amici per la pelle, e formano una coppia di investigatori al fulmicotone. Hap e Leonard sono coinvolti in avventure di ogni sorta, da cui usciranno spesso malconci, ma vincitori e soddisfatti.
Alla stessa stregua Ric e Giando, amici nonostante le diversità, fratelli di madri diverse.
Mentre nella coppia americana la differenza è nel colore della pelle (oltre che nelle tendenze sessuali), nella nostra coppia la diversità, oltre alla componente caratteriale, sta nel fatto che Ric è milanese e Giando è napoletano, (eterna diatriba Nord-Sud, ancora molto attuale), ma in una sorta di nemesi positiva, l’uno si è milanesizzato e l’altro si è napoletanizzato: in questo c’è certamente un aspetto autobiografico.
Ieri ama Napoli, le sue radici (e si sente), ma ha imparato ad amare Milano.
Parlare di un libro di questo genere è molto complicato, per non rischiare di svelare troppo e togliere così al lettore il gusto della storia.
Bisogna muoversi con passo felpato, nel dire e nel non dire e questa cosa è possibile grazie alla scrittura dell’autore.
Infatti questo libro ha certamente le caratteristiche del giallo in virtù dei richiami al giallo americano, cui facevo riferimento e per alcuni aspetti della vicenda. Al contempo, però, contiene in sé gli elementi del noir, alla francese, riportandoci in alcuni passaggi al Maigret di Simenon, con i suoi risvolti sociologici, le questioni familiari e personali che intercalano la narrazione poliziesca, con questa Milano da sfondo, un convento stupendo sul lago di Como, il clima cupo delle prefetture.
Infine il thriller, che lega tutta la vicenda nella sua evoluzione, fino alle estreme conseguenze e che esaspera le vicissitudini dei protagonisti vittime di situazioni di eccezionale pericolosità, creando una forte tensione emotiva che punta ad un effetto di attesa mozzafiato, con quella componente di violenza, entrambi elementi fissi del genere thriller, che può essere accostato agli analoghi generi analoghi del giallo e del noir.
Il finale sarà una vera sorpresa, ad effetto rocambolesco, potremmo dire pirotecnico, stupendo il lettore nelle ultime pagine come non mai, con aspetti degni della migliore Agatha Christie.
Ma nel parlare di questo libro non ci si può non soffermare sul titolo: Il diritto di uccidere.
Le domande che vengono spontanee sono: esiste una circostanza in cui si possa esercitare tale diritto?
Esiste un male tale che giustifichi il compiere altro male?
Il primo pensiero è letterario, va a Delitto e castigo di Dostoevskij, dove il protagonista uccide l’usuraia per liberarsi dalla morale comune, in nome di una morale del superuomo.
Ma dopo un simile gesto c’è la possibilità di liberarsi dal senso di colpa?
Grandi personaggi come Napoleone non hanno mai avuto sensi di colpa nelle loro procedere, di fronte ad uccisioni di uomini che si rendevano necessarie per realizzare i loro progetti?
Anche Raskòlnikov vorrebbe giustificare il suo atto in nome di un principio: … non ho ucciso una persona, ma un principio. Ma, alla resa dei conti capisce che ha saputo soltanto uccidere, senza scavalcare il vero senso del gesto: ha ucciso la vecchia usuraia, ma non ha superato la legge. Ha compiuto un omicidio, senza porsi al di là della norma morale.
L’assassino, nel nostro caso, si pone questo problema, oppure ritiene indispensabile farsi giustizia da solo, semplicemente perché la giustizia, il sistema non provvedono ad assolvere loro questo compito? Michele Ieri affronta questo tema nei capitoli dedicati “all’altro” e ci dà la sua lettura del fatto.
Diventerebbe ampio il discorso e ci allontaneremmo dall’oggetto di questa riflessione, ma la discussione sul diritto di uccidere si dovrebbe estendere al femminicidio, obbrobrio dei nostri tempi, azione vile collegata al concetto di donna intesa come possesso, oggetto irrinunciabile, che contiene concetti che minano alla base la dignità delle donne, concetti che comporterebbero infinite riflessioni sociologiche, culturali, ambientali, educative e familiari, per dire solo alcuni degli aspetti che sono concause in un gesto simile.
Riflessione meriterebbe anche il diritto di uccidere che si arrogano alcune nazioni con l’esercizio della pena di morte come condanna di un reato di estrema violenza, come se un’altra violenza potesse cancellare la precedente, anche la più odiosa e spregevole.
La morte è sempre una soluzione troppo semplice, rapida e perfino indolore (seppure estrema) rispetto ad una vita di espiazione.
Etica, morale, società, sistema, sono gli elementi intrinsecamente contenuti nel titolo di questo libro.
Leggendo il libro ci si imbatte in una vera e propria track list musicale, dove non ci sono richiami alla musica attuale ma il riferimento è costante al cantautorato di alta qualità. Vengono citati Gaber, De Andrè, Pino Daniele, Battiato, Silvestri (solo per citarne alcuni) per poi trovare una degnissima citazione del Quartetto Cetra, grande gruppo di swinger all’italiana che nulla hanno da invidiare ai grandi americani, fino ai Manhatthan Transfer. Ma gli evidenti gusti musicali dell’autore non disdegnano citazioni operistiche, riferimenti jazzistici (Armstrong) e rivelano il suo amore per la canzone classica napoletana.
Anche i gusti culinari dell’autore occupano uno spazio importante svelando una probabile passione per colazioni ricche di cornetti (il romanzo comincia con una sfogliatella divisa a metà), pranzi luculliani con l’amico Pasquale.
Ogni occasione è buona per finire a tavola da Romoletto, ristoratore accorto conoscente dei gusti dei nostri tre.
Così scopriamo che amano la “cacio e pepe”, la buona carne, i buoi vini; ma una citazione particolare merita la “genovese”, cui è praticamente dedicato un capitolo.
In conclusione, non potendo andare oltre a rischi di svelare troppo, mi sono trovato tra le mani un libro di genere, ma che a dispetto di tanti altri, mi ha dato spunti interessanti che hanno spaziato da altissimi contenuti etici e sociologici, a divertenti divagazioni su spettacolo, musica, ricordi e gastronomia. Un libro da gustare.
Ettore Sannino, nato a Napoli, vissuto a Portici, città che gli è rimasta nel cuore, attualmente vive a Caserta. Neurochirugo, opera in ospedale. Lettore appassionato e scrittore fecondo, nel 2022 ha pubblicato il suo libro d’esordio, “Un possiile senso della vita, Graus Edizioni. una di racconti.
Dice di sé: Cresciuto scienziato in una famiglia di umanisti, mio nonno che era scultore e pittore diceva che ero incapace persino di fare la lettera “o” col bicchiere e se ne rammaricava.
Ma anche se non condivido assieme al suo nome il suo talento con pennello e scalpello, la mia passione è altrettanto artistica: scrivere, e mi accompagna dai tempi del liceo, quando qualsiasi tema in classe per me era l’occasione per un racconto, l’incipit di una storia. Perciò eccomi a voi, come sono, venendo dal nulla, pronto a tornare nel nulla e sperando di non essere nulla più che uno a cui piace scrivere
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