La Recensione, Toglimi un dubbio
di Ciccio Capozzi
Toglimi un dubbio. In una cittadina del nord della Francia, Erwan scopre casualmente che il suo affezionato padre non è quello biologico. Cercatolo e trovato, s’imbatte nella di lui figlia Anne. E qui le cose si complicano… Il film (FRA, ‘17) è una deliziosa commedia, come sanno fare i francesi, quando coniugano una qual introspezione sentimentale a personaggi in possesso di personalità e simpatia umana; possibilmente in uno scenario, sia geografico che umano, particolare e credibile: meglio ancora se provinciale. Ovvero tutto ciò che non è Parigi.
Regista e sceneggiatrice di Toglimi un dubbio è Carine Tardieu. Una che se l’è sfangata, con passione e professionalità, da terza assistente di regia a seconda in Tv Series francesi e Tv Movies, per poi scrivere per il cinema e, dopo un paio di corti premiati in giro, peraltro ispirati a romanzi da lei scritti, diventare regista e sceneggiatrice, in proprio. Insomma, una seria e tosta, che sa quello che vuole.
Il suoi due precedenti lungometraggi hanno avuto una buona accoglienza festivaliera, ma da noi non sono stati visti in sala. Mostrano una costante e viva attenzione per le relazioni e le problematiche di famiglia.
Lo spunto di Toglimi un dubbio, secondo quanto lei stessa ha dichiarato, le è venuto da un suo amico, cui era capitato un caso del genere. Ll Tardieu, insieme ai suo cosceneggiatori Michel Leclerc, che ha già lavorato con la regista, e Raphaèle Moussafir, ha esplorato, da una parte i risvolti umani e psicologici delle reazioni dei tre soggetti direttamente interessati; dall’altra, ha riflettuto sulle nuove relazioni che s’instaurano. Ma c’è anche, in relazione a queste, il completo cambiamento delle prospettive sia nel giudicare e affrontare il passato e la sua memoria, che il futuro.
Soprattutto, come in questo caso, sua figlia si appresta a partorire, senza curarsi di sapere chi è il padre. O forse lo sa, ma non ritiene che sia essenziale, dato che non è la persona di cui potrebbe innamorarsi…Inoltre il film affronta, con molta leggerezza ed eleganza, il tema della natura dei rapporti tra due presunti fratellastri, che non si sono mai visti prima in quanto fratelli, ma che s’innamorano prima di saperlo.
È un tema molto usato nel teatro e nella letteratura sei-settecenteschi europei per affrontare in modi diciamo così obliqui, il tema assai delicato dell’incesto. Del resto, nei dialoghi frizzanti, con punte ironiche, si respira quell’atmosfera raffinata, ma concisa, chiara e veloce alla Marivaux, famoso scrittore di romanzi e di teatro, che per i francesi, fin dal 1700, in questo tipo di approccio, è considerato a tutt’oggi il classico di riferimento.
Non casualmente la regista ha spesso citato (e l’ha ricordato con affetto anche nei titoli) il regista suo modello: il grande Claude Sautet, il Maestro di Un cuore in inverno e tanti altri film sospesi tra sentimenti e analisi attente e fuori dagli schemi di relazioni familiari. Tutti caratterizzati da dialoghi vivaci e brillanti.
La cosa singolare è che mentre per Cécile de France, attrice colta, poliedrica e raffinata, anche da noi apprezzata e conosciuta, il dato non fa una piega, per il protagonista maschile, l’attore molto noto in Francia, François Damien, è stato un radicale calarsi in altri panni. Damien però è attore comico/brillante, molto istintivo e che poco si cura del “metodo”, cercando di rivivere coll’intuizione i passaggi trasformativi del ruolo. Per questo, ha conflitto con la regista durante le riprese, che invece gli imponeva un rispetto certosino della sceneggiatura e di dialoghi. Tuttavia, non solo non è stato allontanato dal set, ma, molto intelligentemente, la regista ha saputo trovare un equilibrio perfetto tra la forza e l’energia che emanava dalla persona dell’attore, davvero molto prorompenti (nel film è un artificiere), e gli improvvisi momenti di concentrazione emotiva che l’attore esprime, che illuminano con loro dolcezza inaspettata, come degli sprazzi intensi di luce in un cielo buio.
E la de France, da eccellente professionista, gli ha tenuto bene botta, con grazia e vigore. I loro duetti, che intercalano parole non leziose a comportamenti fisici pieni di sfumature, sono preziosi e divertenti.
Come anche sono ben costruiti i dialoghi e le relazioni tra i due padri, quello biologico e quello putativo, e lui. Il primo è uno che ha fatto politica in anni eroici (addirittura durante la Guerra d’Algeria), avendo avuto incontri ed esperienze di vita invero affascinanti: il contrario del padre biologico, lavoratore e attento alla famiglia. Il quale, però, sapeva della non paternità ma, con generosità e sincero affetto per lui, ha mantenuto il segreto.
Come con Sautet, sono attentamente curate tutte le figure del film: i protagonisti sono diversi: ma il ritmo narrativo coinvolge e valorizza con agilità ed equilibrio tutte le sottostorie, come quella della figlia e della sua maternità.
Il finale è sull’ironico: invita a non avere certezze, anche verso coloro che si dimostrano incrollabilmente fedeli ai loro assunti: ad esempio l’investigatrice, che ha la funzione, quasi teatrale, di trait-d’union del destino, ed è simpatica e svelta figuretta.
Molto riuscita è l’ambientazione della Bretagna: solare e ventosa, esprime quel senso non costrittivo di provincia vitale, che pure il cinema francese riprende con interesse.
Ciccio Capozzi, già docente del Liceo Scientifico
porticese Filippo Silvestri, è attualmente
Direttore Artistico del Cineforum
dell’Associazione Città del Monte|FICC al
#Cinema #Teatro #Roma di Portici.