Cultura

La Recensione, Ammore e malavita

di Francesco “Ciccio” Capozzi

Ciro e Rosario sono “le tigri”, i killer guardaspalle di Don Vincenzo ‘o rre d’o pesce, un commerciante camorrista. Ciro deve liquidare una testimone, Fatima, d’intralcio ad un diabolico piano della consorte del boss. Ma scopre che ‘a ’nfermera da uccidere è un suo non dimenticato amore: questo gli cambia la vita.

Antonio e Marco, rispettivamente 47 e 49 anni, Manetti (i Manetti Bros) sono i registi di questo splendido e spiazzante film (ITA, ‘17). È stato critto da loro, insieme a Michelangelo La Neve, che ha già collaborato con i due in Songo ’e Napule (‘13), altro fortunato film della banda.

I due fratelli sono romani, di ascendenza toscana: quindi perché Napoli? Perché per loro è una fonte inesauribile: «Al di là del carattere fortissimo della città, più ci stai e più ti dà idee. Sorriso e musica ti acchiappano senza sosta se ci lavori e ci passi del tempo», hanno dichiarato.

Del resto, non casualmente, l’idea del soggetto del film è anche di Carlo Macchitella, uno dei creatori di Passione (‘10), l’innovativo documentario musicale su Napoli di John Turturro. Secondo questo attore regista americano, che apprezzava e conosceva De Filippo e Viviani e, parafrasando lo storico Fernand Braudel, Napoli, da un punto di vista culturale-musicale, è «una città-mondo». Ha una stratificazione storico-sociale culturale unica: e la musica, nelle sue varie espressioni e declinazioni, ne è l’articolazione più evidente.

I Manetti hanno fatto propria questa indicazione. Ma l’hanno fatto incrociando direttamente la contemporaneità. Realizzando una visione che coglie i problemi di Napoli, il degrado, la camorra, la difficoltà del vivere, ma li traspone su un approccio che coniugando presente a tradizione, ne dà un’interpretazione non banalmente riduttiva, né sul versante di un facile e semplicistico ottimismo, né di un disperato pessimismo fatalista. Le camorre possono essere sconfitte dall’energia e dalla volontà di non lasciarsi prendere dallo sconforto: sono composte da miserabili e vigliacchi.

In Ammore e malavita è la musica a trascinare questa voglia invincibile di restare umani in questa città. E lo sfottò, che nel film pure è molto importante. Con un senso davvero geniale dell’uso dei ritmi narrativi, hanno saputo perfettamente miscelare gli intermezzi musicali, tutti di grande, se non eccelsa qualità, e coreografici, con i momenti di cruda e spigliata narrazione realistica. Hanno studiato per bene le lezioni dei grandi musical Usa, e l’hanno fatta propria. Non sono semplicemente divertenti e ben interpretati i numeri musical-coreografici, voglio dire, ma sono parte di una narrazione di un noir romantico metropolitano.

In questo è da rilevare la qualità e l’importanza del montaggio: che è stato di Francesca Amitrano, una delle più dotate e apprezzate delle nostre montatrici. Senza la minima sbavatura, ha collegato con millimetrica e micidiale concisione e precisione i momenti recitativi con quelli musicali.

È stata una sinfonia di flessibilità narrativa, in cui si sono fuse le qualità degli attori, della storia e dei loro interventi musicali: ma anche quei geniali interventi da “coro greco” di Pino Mauro, assiso sul trono di corni in piazza del Plebiscito. L’efficacia ela forza del suo apparire dà un tono addirittura epico al confronto con Napoli e la sua tradizione.

I Manetti hanno osato confrontarsi anche con Mario Merola: lo zio di Ciro è un contrabbandiere, il suo muoversi, sia sul mare che tra i conflitti e minacce, sono pure citazioni da I contrabbandieri di Santa Lucia (‘79) e anche NapoliPalermoNew York – Il triangolo della camorra (‘81) diretti dall’inossidabile Alfonso Brescia. E del resto Antonio Buonomo, che lo interpreta, è un cantante classico napoletano, che ha fatto anche l’attore (era Nuvoletta in Fortàpasc, ‘09).

Come anche post-neomelodico è Franco Ricciardi, l’attore cantante che, oltre a funzionare bene (più a suo agio qui, a mio avviso che in Song ’e Napule, dove pure aveva un ruolo chiave), si esibisce in numeri da sceneggiata rock di qualità e di vigorosa passione.

Così anche Raiz, al secolo Gennaro Della Volpe, già voce solista degli Almamegretta, nel ruolo complesso di ex amico di Ciro, trova spazio adeguato di drammaticità e di canto.

È sconcertante come questo nucleo così disparato di idee ed ispirazioni abbia trovato un equilibrio stabile, articolato e difficile ancor più che nel precedente Song’e’ Napule: ma è la qualità geniale del film. È la sicurezza autorale che ha fatto trovare ai due registi il pieno raccordo tra la vicenda, la musica e il tema.

Molto hanno contribuito i protagonisti: Carlo Buccirosso è perfetto nella meschinità e cattiveria, grottesco, senza esagitazione; in più sotto le grinfie della moglie, una vulcanica, eccellente Claudia Gerini. Attrice in perfetto equilibrio tra la cafonaggine, la protervia e il cinismo, con una capacità di occupare la scena con risolutezza.

Gianpaolo Morelli, oramai feticcio dei Manetti, è attore dalle mille risorse. Così Serena Rossi mostra in pieno i suoi vari talenti: fisici, attoriali e canori, tutti in grande spolvero.

Concludo dicendo che questa narrazione è a contraltare con Gomorra Serie tv e film: ne è il risvolto comico. Ma è parte integrante di una Napoli che non vuole negare o disconoscere le sue realtà negative: le vuole affrontare in modi e con finalità diverse.

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