La prevenzione nelle scuole tramite la peer education
di Carlo Alfaro
La prevenzione in Medicina consiste in un insieme di attività, azioni e interventi volti a promuovere, favorire, mantenere e conservare lo stato di salute e benessere fisico, psichico e sociale ed evitare l’insorgere di malattie, a livello del singolo individuo, la collettività e l’ambiente.
In relazione al diverso tipo e alle finalità perseguibili, si distinguono tre livelli di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria.
La prevenzione primaria interviene sul soggetto sano, per preservarne le condizioni di benessere evitando l’insorgenza di patologie, attraverso il potenziamento dei fattori di difesa e tutela della salute e l’allontanamento o la correzione dei fattori di rischio.
La prevenzione secondaria interviene su soggetti già ammalati, in uno stadio iniziale e in fase asintomatica, attraverso la diagnosi precoce (programmi di screening), prima che la lesione biologica diventi clinicamente manifesta, ai fini di ottenerne la guarigione o limitarne la progressione o migliorarne il decorso.
La prevenzione terziaria consiste infine nel controllo clinico-terapeutico di malattie già conclamate, per evitare o limitare le complicazioni, favorire la riabilitazione, il recupero e il reinserimento nel contesto familiare e sociale, evitare le recidive.
Un intervento di prevenzione primaria ha maggiori possibilità di successo quanto più opera su differenti livelli: individuale, di gruppo, organizzativo, di comunità e di azione politico- sociale. La scuola è un luogo ideale per un intervento di prevenzione primaria della salute: rappresenta l’agenzia educativa nella quale la popolazione giovanile si trova a vivere gli anni decisivi per la propria formazione valoriale e le future scelte di vita. Può quindi farsi setting privilegiato di promozione della salute, fornendo agli interventi informativi/formativi utili ad aumentare la consapevolezza della comunità giovanile un ambiente sicuro e accogliente di apprendimento cooperativo e di attività positive comuni.
Gli interventi effettuati in ambito scolastico hanno il vantaggio di raggiungere contemporaneamente un’ampia platea di giovani che condividono lo stesso contesto sociale in maniera quotidiana e continuativa. Le ricerche concordano però sul fatto che la classica lezione frontale, basata sull’adulto “tecnico” che va a scuola a insegnare agli studenti, è poco proficua ai fini dell’apprendimento e del cambiamento. Perché la comunicazione ai giovani sia efficace è opportuno che i percorsi formativi-informativi si sviluppino al contrario con il massimo coinvolgimento del target al quale gli stessi sono destinati, utilizzando linguaggi, metodi, percorsi semantici e attori appartenenti agli specifici codici comunicativi dei giovani stessi: è il principio cardine della peer education.
Questa metodologia educativa consiste nello scegliere alcuni soggetti di un gruppo di studenti e formarli adeguatamente perché diventino peer educator, cioè portatori di informazioni e messaggi di salute nei confronti degli altri membri del gruppo, dai quali sono percepiti come loro simili.
Il principio base del peer learning è che la conoscenza si trasmetta tra “pari grado”, cioè tra persone simili, per età, status e problematiche, il che le rende, agli occhi di chi impara, interlocutori credibili e affidabili, degni di rispetto e confidenza. I peer educators, attraverso un confronto tra pari fatto di sintonia e autenticità, senza le diffidenze e i timori riverenziali che si possono provare per un adulto, possono catalizzare una efficace opera di diffusione e divulgazione di nozioni corrette e buone pratiche, acquisizione di conoscenze e competenze, modificazioni di atteggiamenti e comportamenti inadeguati. È il legame di “similarità” percepito tra i soggetti coinvolti in interventi di peer education ad essere alla base della loro efficacia: sentire comunanza e condivisione di problematiche ed esperienze con chi ci sta informando fornisce credibilità e potere alla comunicazione educativa. Privilegiare la dimensione orizzontale nella condivisione di saperi ed esperienze tra i membri di un gruppo, a partire dalla considerazione che la parità può rappresentare una possibile spinta all’accettazione di quanto asserito, fa della peer education una strategia educativa ideale. Con la peer education, infatti, la comunicazione da unidirezionale (dal docente ai discenti) diventa bidirezionale o circolare, annullando la distinzione tra formatori e soggetti destinatari del processo formativo. I peer non hanno ruolo di insegnanti nei confronti dei loro coetanei, bensì di tutor, persone con cui intraprendere uno scambio attivo di idee ed esperienze, mentre agli adulti resta il ruolo di supervisori e facilitatori dell’interazione tra giovani.
Il punto di forza dei peer educator è proprio quello di utilizzare la comunicazione paritaria, cioè lo stesso linguaggio dei destinatari, che può essere perfettamente compreso e accettato. All’interno del gruppo, i peer sono agenti di cambiamento e, pur essendo protagonisti dell’azione di trasmissione della conoscenza, non instaurano un rapporto gerarchico con gli altri studenti, non giudicano, non tengono lezioni: continuano a stare sullo stesso piano. La comunicazione tra pari consente il trasferimento spontaneo ed efficace di esperienze e conoscenze tra soggetti appartenenti ad uno stesso gruppo o contesto sociale, in modo che i membri di un gruppo diventino soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione, non semplici recettori di contenuti, valori ed esperienze trasferiti da un professionista esperto. Perché questo avvenga, è necessario sia messa in atto un’altra caratteristica del peer learning: imparare attraverso l’azione. Diversi studi hanno dimostrato come la miglior tecnica per comprendere a fondo le tematiche sia quella del “fare”, attraverso operazioni e azioni. Il soggetto in formazione deve dunque assumere un ruolo centrale e strategico per l’intero processo, anche a livello di progettazione. Ciò implica che non ci sia una semplice condivisione di contenuti, bensì una produzione, da parte dei ragazzi che vengono formati, di strategie educative ideate da loro, adatte al proprio contesto perché da esso prodotte. In tal senso, si può parlare di vere e proprie “comunità di apprendimento”, in cui ciascuno contribuisce in maniera cooperativa alla costruzione di conoscenza.
Nella metodologia della peer education, il giovane che viene formato è anche il protagonista della realizzazione del progetto di prevenzione, sia per quanto riguarda la costruzione dei percorsi, dei materiali e degli strumenti sia nelle ricadute formative destinati ai propri pari. Gli studenti vengono quindi coinvolti sin dalla fase di ideazione del “progetto” per essere poi incaricati della realizzazione delle azioni progettuali previste.
Il sistema del peer learning ha diversi vantaggi, sia per i peer, di cui migliora l’autostima e le abilità relazionali e di comunicazione, sia per i coetanei, che apprendono più facilmente, sviluppando competenze e risorse in un ambiente in cui si sentono a proprio agio, senza voti o giudizi, in un clima di rispetto reciproco, fiducia, cooperazione tra pari, libertà.
(Foto di copertina by Biam Hanif_unsplah)
Il dottor Carlo Alfaro, sorrentino, 54 anni, è un medico pediatra Dirigente Medico di I livello presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi della ASL NA3Sud, Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientifica SLAM Corsi e Formazione, e Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA).
Inoltre è giornalista pubblicista, organizzatore e presentatore di numerosi eventi culturali, attore di teatro e cinema, poeta pubblicato in antologie, autore di testi, animatore culturale di diverse associazioni sul territorio, direttore artistico di manifestazioni culturali.
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