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La Novella, Angela – parte seconda

Alle nostre madri: senza di esse non saremmo state così… E noi, cosa siamo diventate noi? Le prime della classe, come Angela e la seconda parte della sua storia …

di Bianca Sannino

Cominciò così la seconda parte della mia vita. Divenni una perfetta figlia di papà, seguivo la moda degli yuppie, vestivo firmato, mi truccavo con i migliori prodotti, avevo la moto e scorrazzavo bella e spavalda per le strade della mia città.

Dopo anni di vagabondaggio tra il paese di origine di mio padre e il centro cittadino da cui proveniva mia madre, il padrone delle nostre vite decise di costruire un palazzetto in cui internare la famiglia, mise su una splendida azienda di fiori di fronte ad una delle baie più incantevoli del nostro splendido mare, e di acquistare piano piano terre e case. Era austero mio padre e conservava una profonda umiltà unita ad una fierezza e nobiltà d’animo e d’aspetto.

Era temuto e rispettato, dava lavoro a molte persone di quel sud profondo e disperato, gente per lo più priva di iniziative, che aveva bisogno di un padrone, così diceva mio padre, e lui il padrone lo sapeva fare. Lo sapeva fare benissimo anche in famiglia.

Mia madre ormai girava in pellicce inutili per il caldo che imperversa anche d’inverno a quelle latitudini, ingioiellata e vestita dai migliori sarti. Doveva recitare la sua parte, ma non era felice, non amava tutto quel lusso, la infastidiva e talvolta la imbarazzava, ma doveva farlo, era obbligata, era la moglie.

E mentre mia sorella trascorreva le sue giornate con i video dei Duran Duran o si innamorava di George Micheal, io avevo cominciato a frequentare il liceo in città e mi ero iscritta a mille attività sportive. La mia fisicità me lo consentiva, avevo ereditato una strana commistione. Alta, magra, muscolosa, gambe lunghe, ma bacino largo e morbido come solo le donne del sud hanno.

I ragazzi mi stavano dietro ma erano molto intimiditi da una come me, libera, dinamica, sicura e ricca. Non avevo bisogno di nessuno, di niente. Non avevo bisogno di niente infatti, solo di essere amata per quello che ero, con tutta la mia spavalderia, sicurezza, arroganza.

A scuola ero molto apprezzata ma anche temuta perché ero sempre un po’ più avanti, troppo veloce, troppo sicura di me. Mi hanno punito, o almeno hanno creduto di farlo. Ho trascorso così gli anni della mia adolescenza, tra impegni di studio, sport a livello agonistico, le sere d’estate nelle ville a mare dei miei amici, le gite in barca e un primo grande amore. Un ragazzo bruno, più grande di me di qualche anno e con una grande energia. Era l’unico che riusciva a tenermi testa, che aveva l’abilità di sapermi domare, perché io somigliavo ad un morello, cavallo di razza difficile da rendere docile perché di spettacolare fierezza. Mi piaceva la sua famiglia, la madre sempre disponibile ad accogliere la miriade di amici che i figli portavano a casa, il padre un uomo con il quale si poteva parlare di tutto senza il timore di essere giudicati, le sorelle che ben presto diventarono per me care amiche. Trascorrevo intere giornate con loro, soprattutto d’estate.

Ho vissuto grazie a questi momenti il senso della famiglia, il condividere la convivialità. A casa mia orami si respirava un’aria sempre più pesante. Mio padre era sempre più impegnato a gestire una miriade di attività, spesso non lo vedevamo neppure più a pranzo, mia madre si ritirava sempre più nel suo guscio, mia sorella e mio fratello monadi vaganti. Mio padre però sapeva sempre tutto, cosa facevamo, chi frequentavamo, dove stavamo. Fu così che scoprì questo mio primo amore. Lo disapprovò, lo ostacolò, lo impedì con tutte le sue forze. Non ho mai compreso il perché, o forse non ho mai voluto approfondire le ragioni profonde delle sue motivazioni. Ero sua, una sua proprietà, come le case, i terreni, gli alberghi che andava via via accumulando. Finito il liceo non essendo presente nella mia città la facoltà che mio padre ritenne fosse più adatta a me, mi trasferii in un’altra città. Era la città di origine di suo padre, mio nonno. Si mise in contatto con i suoi parenti e mi piazzò con armi e bagagli lontano dal mio mondo e dalla mia vita.

 

 

Bianca Sannino, docente appassionata nella scuola statale italiana, vive e insegna a Portici da più di vent’anni.

Dopo aver attraversato perigliosi mari in vari ambiti e settori ed essersi dedicata alla redazione di libri saggistici e specifici del settore dell’insegnamento, esordisce oggi nel genere novellistico.

 Due lauree, corsi di specializzazione, master non sono bastati a spegnere la sua continua, vulcanica e poliedrica ricerca della verità. 

Da sempre, le sue parole che profumano di vita e di umanità, arricchite dalla sua esperienza e sensibilità, restituiscono delicati attimi di leggerezza frammisti a momenti di profonda riflessione.

Nel 2021 inizia la collaborazione con LoSpeakersCorner.

 

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2 pensieri riguardo “La Novella, Angela – parte seconda

  • Patrizia Giuseppina Colalillo

    Non vedo l’ora del prossimo appuntamento. Mi piace molto! Complimenti Bianca.

    Rispondi
  • Complimenti Bianca coinvolgi e appassioni sempre.

    Rispondi

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