Cultura

La marineria borbonica e i pirati della Malesia

di Michele Di Iorio

Il mare è stato sempre percorso dagli antichi viaggiatori: da Ulisse ai Vichinghi, dagli eroi salgariani ai navigatori solitari dei giorni nostri. E naturalmente Napoli non poteva che scrivere tante pagine gloriose della storia della Marina.

In una città di antichissime tradizioni marinare, Carlo di Borbone, insediatosi sul trono, diede forte impulso al commercio marittimo.

La flotta mercantile del Regno, con le polacche di Sorrento, Procida e Torre del Greco sin dal 1738 aveva iniziato a correre i mari in cerca di porti commerciali nel mondo. Nel 1759 arrivò in Martinica e nel 1766 nelle Antille della danesi, impiantando nel 1780 una base commerciale a Capo Bon in Tunisia.

Nel 1823 arrivarono a Pernabuco, Brasile e nel 1827 a Boston, Usa. Si rifornivano inoltre regolarmente di merci nei paesi scandinavi. Nel 1837 la flotta napoletana conquistò il primato della traversata atlantica effettuata in soli in due mesi e raggiunsero il Mar Nero e il Mar Bianco oltrepassando il Circolo Polare Artico.

Pochi però sanno che la marineria napoletana annovera tra di suoi membri eroi degni della penna di Emilio Salgari.

L’intrepido capitano Francesco Cafiero di Piano di Sorrento, costruiva navi mercantili nel suo cantiere di Alimuri. Nel marzo 1842 partì da Sorrento con il brigantino a palo Clementina, 381 tonnellate. Si rifornì a Port Louis. nelle isole Mascarene a nord del Madagascar. Aveva superato con non poche difficoltà il Capo di Buona Speranza, e veleggiando per Ceylon e Timor nelle Molucche, entrò nelle acque dell’Indonesia, diretto verso Sumatra.

Nella mattina del 9 agosto, dopo quattro mesi di navigazione, arrivato al largo di Penang, Malesia, il Clementina venne circondato da una flottiglia di barche di pirati armati fino ai denti. Nonostante il brigantino avesse sparato due scariche di fucileria e una bordata del cannoncino in dotazione contro i 50 inferociti pirati armati di lame e rudimentali fucili, sebbene 9 di loro rimanessero feriti e 3 uccisi, la nave sorrentina venne abbordata da quei sanguinari.

Il capitano Cafiero sparò con la sua pistola e mulinò la sua sciabola, ferendo altri due assalitori e uccidendone 3 sul ponte del brigantino. 33 energumeni lo costrinsero con le spalle al timone, ma riuscì ad abbattere ancora due pirati con i suoi pericolosi fendenti  . Infine, ferito in più punti del corpo venne sopraffatto e decapitato.

L’equipaggio sorrentino dovette arrendersi. Il carico venne derubato e la nave sequestrata. I marinai furono legati a due a due e venduti come schiavi.

Ferdinando II di Borbone, venuto a conoscenza del fatto, tramite il suo ministro degli Esteri e il console napoletano a Sumatra, protestò vivacemente con il governo malese, pretendendo il rilascio dei marinai e del Clementina. Purtroppo non si riuscì ad ottenere nulla.

Lord James Brooke
Lord James Brooke

Erano tempi lontani, seppur ci sembra di conoscerli attraverso Emilio Salgari: nei suoi romanzi di avventura raccontava storie di fantasia, ma rispettava non solo l’ambientazione dei luoghi – e dire che pare non li abbia mai visti! – e intrecciava all’invenzione letteraria personaggi realmente esistiti.

Erano i tempi in cui i Paesi occidentali facevano rotta per terre esotiche e ricche per colonizzarle ed imporre il proprio predominio sui mari. La nazione che riuscì ad espandersi in maniera maggiore fu quella inglese. Il famoso avventuriero lord James Brooke tra 1830 e 1848, si impose al punto da divenire il Raja bianco di Sarawak, nel Borneo malese. Riusciva a tenere a bada i pirati, bloccando le loro scorrerie.

Fu proprio grazie a questo discusso personaggio realmente esistito che nel 1848 vennero salvati alcuni marinai del Clementina.

Una nave di lord Brooke catturò al largo della costa un naviglio pirata e liberò tre dei marittimi sorrentini superstiti. Soltanto uno di loro sopravvisse e poté riabbracciare i suoi cari nel giugno 1859, dopo 17 anni di assenza, unico sopravvissuto di un intero equipaggio.

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