La Marina Mercantile delle Due Sicilie
PORTICI (NA) – Negli accoglienti spazi della Libreria Libridine di Diego Penna e Nadia Labriola sabato 13 gennaio si è tenuta la presentazione del libro di Lucio Militano, ingegnere Navale e Meccanico, La Marina Mercantile delle Due Sicilie, Editoriale Il Giglio, 2017.
A discuterne con l’autore Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico, entrambi abilmente stimolati e intervistati dalla giornalista Marina Carrese.
La tradizione marinara della Campania è scritta a caratteri cubitali sulle pagine di storia. Già nei primi anni dell’insediamento sul trono di Carlo di Borbone la marina mercantile napoletana, cresciuta di pari passo con quella militare, aveva favorito lo sviluppo non solo del commercio ma della navigazione e naturalmente della pesca. Una vocazione naturale per un Regno circondato dal mare.
Così sottolinea Lucio Militano: «Era infatti logico che la marina mercantile fosse elemento di punta dell’economia del Regno delle Due Sicilie. Ferdinando II diceva che era circondato per due terzi dall’acqua salata e per un terzo dall’acqua santa, intendendo che confinava con lo Stato Pontificio. Contraddistinta da una orografia complessa, il rapporto con il mare era forte da un punto di vista storico, continuato negli oltre mille anni della sua esistenza. Era un Regno che utilizzava le vie d’acqua molto intelligentemente per il trasporto di merci, persone e di tutto quello che serviva all’economia della nazione. Pur non trascurando le vie terrestri: le strade e ferrovie dal 1839 ebbero un discreto sviluppo, anche se per certi versi era estremamente più comodo e convenientre il trasporto via mare. Si era quindi creata un classe imprenditoriale di medio livello che serviva i traffici del Regno: si trattava di strutture semifamiliari, ma ben organizzate e che creavano indotto. Accanto a queste imprese subentrarono poi le grosse Compagnie di Navigazione».
Nel 1818 il pragmatico Ferdinando I fece costruire a Vigliena, nel Cantiere Navale di Stanislao Filosa, la prima nave a vapore che navigò nel Mediterraneo, con la felice intuizione che una imbarcazione veloce fosse di vitale importanza nel trasporto delle truppe in caso di necessità.
Il Regno delle Due Sicilie era «… una nazione che aveva oltre 30 porti di prima categoria, come quelli calabresi di Palmi, Crotone, che oggi non esistono più – anzi, se ne è persa addirittura la memoria – e oltre 250 approdi per trasporto merci. Quindi, era sorretta da una economia floridissima, che all’atto dell’unità d’Italia aveva 80.000 sudditi che vi ci lavoravano, solo tra i naviganti e senza contare pescatori e corallari, che era un’economia a parte».
Non era una marineria di piccolo cabotaggio, dunque, e bisogna dire che i porti scomparsi sono stati vittima della voluta incuria postunitaria. Nel Regno delle Due Sicilie vi erano ben 21 compagnie di battelli a vapore, all’epoca avanzatissimi tecnicologicamente, con a bordo equipaggi strutturati. Quindi, fioriva tutto l’indotto: esistevano vari cantieri, bacini di raddobbo, produzioni di settore che davano lavoro ad altre migliaia di persone.
Ha specificato l’ingegner Militano: «In realtà dopo l’unità al nord non interessava lo sviluppo del Sud: l’obiettivo era quello di prendere le ricchezze e le infrastrutture del Regno delle Due Sicilie e portarsele a Torino per salvarsi dalla bancarotta. In seguito qualcosa è stato fatto, ma troppo tardi e in modo sbagliato».
Sono questi stati i presupposti della dibattutissima Questione Meridionale, nata nel 1860 e mai risolta, liquidata come “implosione” di un regno.
Come ha sottolineato il professor De Crescenzo: «I primati borbonici non sono una medaglia da appuntare al petto ma rappresentavano la politica economica del Regno. Al di là delle parole, i Borbone non erano perfetti ma assecondavano e favorivano lo sviluppo. Era stato così anche nei secoli precedenti l’insediamento borbonico: gli interessi del popolo concidevano con quelli dei governanti che si sono succeduti».
Infatti, ha specificato che se fioriva l’economia ne beneficiavano tutt’e due le parti. Ma con l’unità il governo si disinteressò del Sud: da 150 anni c’è una linea di governo che non fa sviluppare il Meridione. I giovani lasciano il Paese per fare lavori, magari umili, altrove. Dopo il 1870, finita la guerra al “brigantaggio”, per i giovani – come disse qualcuno – l’unica alternativa all’essere “briganti” fu di essere migranti. Prima non si sentiva la necessità di partire: nel Regno delle Due Sicilie si riusciva a vivere discretamente, non c’era l’esigenza di lasciare la propria terra.
Ha continuato De Crescenzo: «Se si continua così, tra cinquant’anni – come dice l’ISTAT – il Sud non esisterà più. La Questione Meridionale si risolverà lasciando che il Meridione non esista più, e parrà che la Questione non sia mai esistita. Nei libri di storia Benedetto Croce viene spesso chiamato in causa, eppure dice che la caduta del Regno delle Due Sicilie non fu causata da implosione ma crollò per un “trauma esterno”: quando ci fu l’invasione da parte dello stato straniero, l’intera popolazione duosiciliana si oppose con forza».
Sono così spiegati i vari fenomeni che si verificarono successivamente, dal cosiddetto brigantaggio all’emigrazione, dalla ferocia della repressione al mancato sviluppo.
«Ecco perchè – ha concluso Gennaro De Crescenzo – ci teniamo tanto a raccontare i Primati borbonici, non per nostalgia del passato, ma perchè il nostro passato diventi futuro. Come racconta scientificamente Lucio Militano nel prezioso libro La Marina Mercantile delle Due Sicilie fornendo l’onere della prova inconfutabile. Storie così belle e ricche di futuro sono una speranza anche per coloro che vivono situazioni difficili, sono la base da cui ripartire».