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La cura delle malattie rare

Dal nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, il report della Società italiana di medicina dell’adolescenza: malattie rare, le difficoltà della transizione delle cure 

Il 28 febbraio, come l’ultimo giorno di febbraio di ogni anno, si è celebrata la Giornata mondiale delle malattie rare, istituita nel 2008.

Lo slogan per la Giornata nel nostro Paese, scelto da UNIAMO (Federazione delle circa 100 Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia) è stato Uniamo le forze: nel senso di lavorare tutti assieme, governo, parlamentari, istituzioni, servizi sanitari, famiglie, società civile. E farlo con consapevolezza e impegno, ciascuno per la propria parte, diretti verso la medesima direzione, quella di creare percorsi inclusivi e rispettosi della piena dignità della vita della persona affetta da malattia rara.

Senza dimenticare i caregiver familiari (circa 7 milioni in Italia), quasi sempre donne e spesso costrette a lasciare il lavoro, per i quali giustamente tra i provvedimenti in arrivo dal nuovo governo Draghi, nel Family Act, nella legge delega in discussione in Parlamento, è stato introdotto un sostegno economico, né i fratelli, i rare siblings, a loro volta costretti a una vita diversa dai loro coetanei.

Nel 1993 le malattie rare sono state dichiarate priorità di Sanità Pubblica dalla Commissione Europea. Tante le criticità di questo tipo di malattie: tempi a volte lunghi per la diagnosi, bisogni assistenziali elevati, necessità di approccio multidisciplinare, incertezze su terapie ed esiti: spesso non hanno una terapia risolutiva (la grande speranza è la terapia genica, disponibile solo per poche di esse).

La Giornata in Italia è stata l’occasione per puntare i riflettori sui punti cruciali da affrontare:

  • approvazione e finanziamento del secondo Piano nazionale delle malattie rare (quello attuale è scaduto nel 2016) che assicuri una presa in carico globale del paziente, con continuità tra il centro di riferimento, l’ospedale, il territorio e la casa;
  • legge quadro sulle malattie rare;
  • aggiornamento dei LEA | Livelli Essenziali di Assistenza perché possano rientrarvi nuove malattie;
  • potenziamento della ricerca scientifica;
  • garanzia di accesso a cure efficaci e sicure;
  • agevolazione su tutto il territorio nazionale delle terapie domiciliari e dell’assistenza domiciliare, secondo il principio della “medicina di prossimità”, anche attraverso l’implementazione della telemedicina e della teleassistenza;
  • diffusione e ampliamento dello screening neonatale esteso, opportunità preziosa per una diagnosi precoce, per una presa in carico specifica, per avviare percorsi dedicati e terapie mirate quando disponibili, per offrire una consulenza genetica adeguata alla famiglia.

La pandemia da Covid-19 ha colpito duramente i pazienti con malattie rare, che si sono trovati ad avere difficoltà per gli accessi in ospedale, per i controlli periodici presso i centri di riferimento, per la riabilitazione e le terapie, mentre l’isolamento forzato ha peggiorato gli aspetti psicologici. A ciò si unisce il timore che la persona, essendo più fragile, si possa ammalare di Covid-19 in forma più grave, per cui viene richiesto l’inserimento dei malati rari nelle categorie prioritarie per la vaccinazione anti-Covid.

Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera la soglia dello 0,05%, ossia 1 caso su 2.000 persone.

Anche se una singola malattia può essere “rara”, nel loro insieme rappresentano un grave problema sanitario e sociale che coinvolge 1 persona ogni 20. Secondo i dati ufficiali del Rapporto MonitoRare 2020, gli ammalati sono 1 milione e 200mila in Italia, e di questi 1 su 5 è un minore. Si stimano 30 milioni di persone in Europa, 300 milioni nel Mondo.

Il numero di malattie rare conosciute oggi è circa 7.000- 8.000. Ma circa il 30% dei malati rari non ha una diagnosi. Sono generalmente malattie gravi e invalidanti, spesso croniche, talvolta progressive.

Più del 50% ha una componente neurologica. Spesso sono genetiche ma i genitori “portatori” sono apparentemente sani: si stima che circa 1 coppia sana ogni 100-200 sia a rischio di avere un figlio con una malattia genetica recessiva.

Un importante contributo alla diagnosi e alla cura delle malattie rare è dato dalle Reti di Riferimento Europee (European Reference Networks-ERNs), che rappresentano delle piattaforme di cooperazione tra specialisti europei che condividono conoscenze, progetti di ricerca, linee guida.

La dottoressa Gabriella Pozzobon, presidente della Società italiana di medicina dell’adolescenza e Pediatra del Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, intervenendo nel dibattito sulle malattie rare, pone l’accento su un aspetto cruciale per gli adolescenti con malattia rara e cronica: la transizione dalle cure pediatriche a quelle dei medici dell’adulto.

Oggi molti bambini con malattie rare gravi raggiungono fortunatamente l’età adulta – spiega la specialista – Molti studi documentano che proprio in adolescenza, età di per sé complessa, è alto il rischio che i ragazzi con malattia cronica saltino i controlli periodici e trascurino le cure, col pericolo di andare incontro a complicanze anche gravi. Ciò è in parte dovuto al disorientamento del trovarsi in una “terra di mezzo” anche per quanto attiene all’assistenza sanitaria. Da qui l’attenzione crescente da parte della comunità scientifica alla cosiddetta «transizione», ovvero il passaggio programmato, di solito verso i 16 anni, di adolescenti affetti da malattia cronica da un sistema di cure pediatrico a uno dell’adulto.

Gabriella Pozzobon

Sono diversi i motivi che rendono difficile questo passaggio, che la Pozzobon sintetizza così:

  • attaccamento di adolescenti e familiari alle figure pediatriche di riferimento,
  • scarsa comunicazione tra pediatri e medici dell’adulto,
  • mancanza di linee-guida e/o protocolli di transizione condivisi,
  • assenza di cultura della transizione da parte delle direzioni e amministrazioni aziendali,
  • carenza di centri di riferimento per adulti nel caso di alcune malattie croniche complesse e rare, fino a poco tempo fa appannaggio esclusivo del pediatra.

L’esperta traccia anche delle line guida di massima: Il processo di transizione deve iniziare presto, già intorno ai 12 anni, ed essere graduale, progressivo e ben pianificato, coinvolgendo l’aspetto educativo dell’adolescente e della famiglia, gli aspetti organizzativi e quelli terapeutico-assistenziali. Servono idealmente degli spazi dedicati, chiamati ambulatori per la transizione, condotti assieme dal pediatra e dallo specialista degli adulti, ai fini della condivisione di notizie e protocolli. Vanno coinvolti a livello territoriale anche il pediatra di famiglia e il medico di medicina generale.

 

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