Influenza 2023, un inverno difficile
Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria all’ASLnapoli3sud, Consigliere nazionale Società italiana medicina dell’Adolescenza, prla dell’influenza di quest’anno e dei virus respiratori
Un inverno difficile, quello che speriamo stia per finire, anche dal punto di vista delle epidemie di virus respiratori, a parte il Covid-19 che non è scomparso.
L’esordio precoce dei contagi di malattie respiratorie già da fine ottobre, l’elevata trasmissione nella comunità e la co-circolazione di diversi virus ha creato allarmanti congestioni di ambulatori, strutture di pronto soccorso e reparti di degenza.
C’era da aspettarselo, dopo che negli ultimi due anni le misure di contenimento applicate contro la pandemia da Covid-19, come il distanziamento fisico, l’igiene delle mani, l’uso delle mascherine, il divieto di assembramenti, lo smart working, le limitazioni agli spostamenti e all’accesso ai luoghi chiusi, hanno ridotto moltissimo la diffusione dei virus respiratori.
La criticità è stata accresciuta anche dalla preoccupante carenza di farmaci per combattere le malattie respiratorie, causa il boom inaspettato di consumi a seguito del numero importante di contagi e l’aumento dei costi di produzione legati alla crisi energetica.
A inizio febbraio sono già stati superati in Italia i 10 milioni di casi di influenza, considerando nel novero anche le sindromi simil-influenzali (ILI).
E non è finita qui, perché ancora oggi l’incidenza si mantiene stabile sugli 8 casi per mille assistiti, secondo il report Influnet e il sistema di Sorveglianza Integrata dei virus respiratori InfluNet/RespiVirNet dell’Istituto superiore di sanità.
La fascia più colpita fin dall’inizio di questa stagione epidemica è stata quella dei bambini sotto i 5 anni. Nei primi due anni prevale il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), noto per essere responsabile di più del 60% delle infezioni respiratorie dei bambini nel primo anno di vita e l’agente causale più frequente di bronchiolite. Dopo i 2 anni di età invece comincia a prevalere il virus dell’influenza.
Altri virus respiratori riscontrati in questa stagione epidemica sono stati Metapneumovirus, Rhinovirus, Adenovirus, Bocavirus, Parainfluenzali e Coronavirus umani diversi da SARS-CoV-2.
La vera influenza stagionale, denominata quest’anno “australiana”, è stata sostenuta dal virus di tipo A per il 95% e di tipo B nel 5% dei casi.
Nell’ambito dei virus A, il sottotipo H3N2 è risultato predominante. A parte le complicazioni dell’influenza che, come di consueto, colpiscono la fascia dei più anziani, quest’inverno abbiamo assistito a un’elevata gravità di casi pediatrici, soprattutto a causa di una violenta epidemia di bronchiolite.
Nei pronto soccorso pediatrici si è registrato un incremento degli accessi per infezioni respiratorie del 300% superiore rispetto ai due anni precedenti, mentre l’80% dei posti letto nelle degenze pediatriche è stato occupato da bambini con bronchiolite, nel 90% dei casi da VRS, che nel 10% dei casi hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva pediatrica.
Secondo stime recenti, in Italia il VRS causa ogni anno 21.000 ricoveri e 3.500 decessi. Non disponendo di farmaci specifici diretti contro i virus influenzali, ma solo di misure sintomatiche e contro le complicanze, l’unica arma è la prevenzione, basata sui cardini noti: lavaggio regolare delle mani, igiene respiratoria (coprire bocca e naso quando si tossisce o si starnutisce, utilizzare fazzoletti monouso e smaltirli correttamente), autoisolamento in caso di febbre e sintomi simil-influenzali, evitare il contatto con persone ammalate, evitare di toccarsi occhi, naso e bocca, non fumare in ambienti chiusi, garantire adeguato ricambio d’aria.
Per l’influenza esiste il vaccino, per il VRS l’anticorpo monoclonale (riservato solo ai lattanti ad alto rischio di complicazioni). Allo studio un vaccino a RNA messaggero “universale” che colpisca contemporaneamente i 20 ceppi noti del virus dell’influenza.
Per concludere, una nuova minaccia è rappresentata dall’influenza aviaria (virus H5N1), di cui sono in aumento in Italia (Regioni del Nord), come nel resto del mondo, i casi tra gli uccelli selvatici, per il timore di un “salto di specie” del virus verso l’uomo.
Nel mondo non è stato mai riscontrato alcun caso di contagio di aviaria da uomo a uomo, ma l’esperienza del Covid-19 ci insegna che può accadere. Fortunatamente al momento non si registrano focolai di aviaria negli allevamenti di pollame nel nostro Paese.