In memoriam, Luis Bacalov
di Renato Aiello
ROMA. Spesso si definiscono i popoli italiano e argentino pueblos hermanos, fratelli appunto, per ragioni storiche, di emigrazione, per la comunanza latina e la passione artistica che lega i paesi neolatini dal Tropico del Capricorno fino alle Alpi e ai Pirenei. Non fa eccezione a questo legame il compianto Luis Bacalov, argentino di nascita – di San Martin per la precisione – e italiano d’adozione, scomparso a 84 anni il 15 novembre scorso a seguito del ricovero per un’ischemia all’Ospedale San Filippi di Roma, città in cui ormai viveva da anni.
Uno spirito internazionale, con radici bulgare e origini ebraiche, cittadino del mondo come solo i grandi artisti sanno essere, un compositore che ha attraversato la Storia del Cinema con le sue colonne sonore, spaziando in ogni genere e lavorando coi migliori registi delle varie stagioni cinematografiche.
Il Fellini della Città delle Donne, il Pasolini del Vangelo secondo Matteo, il De Filippo di Questi Fantasmi (fu il suo debutto) sono solo alcuni dei tanti cineasti che si sono avvalsi dei suoi spartiti musicali, senza dimenticare le collaborazioni con Monicelli, Lattuada, Lenzi, Damiani, Lizzani, Petri, Scola, la Wertmuller e Nanni Loy.
Le musiche scritte per Django di Sergio Corbucci sono diventate immortali anche grazie al remake visivo che fece Tarantino dello spaghetti western: spiccavano infatti le mitiche note di apertura sui titoli di testa e quel His name is King riproposto in chiave ironica nella scena dell’arrivo alla piantagione di cotone di Big Daddy in Django Unchained.
Due anni fa a Vico Equense al Social World Film Festival 2015 gli fu consegnato il Golden Spike Award alla carriera dopo un medley delle sue ballate più intense per il cinema sul palco della kermesse, e nella cittadina della penisola sorrentina ebbe modo di incontrare proprio il protagonista di Django, Franco Nero: magie che possono accadere solo a distanza di anni da film ormai di culto, anche se a lungo considerati b-movie.
Tutti però lo ricordano per una struggente colonna sonora entrata nel cuore di tutti, «vero battito cardiaco del film» come l’ha definita Maria Grazia Cucinotta alla notizia della morte di Bacalov: Il Postino di Michael Radford, che gli fece guadagnare un meritato Oscar nel lontano 1996 a Los Angeles, unico premio al Kodak Theatre per il film postumo di Massimo Troisi, vero testamento spirituale dell’attore di San Giorgio a Cremano.
Dopo il film di Radford si ritrovò a musicare il film di Francesco Rosi, La Tregua, tratto dall’omonimo romanzo di Primo Levi e nel corso degli anni ha scritto le musiche anche per serie e film tv come Caravaggio e Marcinelle. Eppure nella nostra mente risuonerà sempre il tema del Postino, quell’aria da cinema in cui tra i violini crescenti si innesta quella malinconica fisarmonica, vero specchio dei pensieri, dei sentimenti fatti di timidezza mista a slanci emotivi dell’indimenticato Troisi.