Culturateatro

Il Ribelle, un mattoide infelice a Villa delle Ginestre

Racconti per ricominciare, una pietra scagliata da un ribelle che divenne il simbolo della Libertà, la Storia e il ricordo di un mattoide infelice 

di Elvira Picciola

TORRE DEL GRECO (NA) – Nell’ambito del programma Racconti per ricominciare 2020, percorsi di teatro dal vivo itineranti e di breve durata, in scena dal 25 giugno al 12 luglio  in splendide location napoletane e vesuviane, è apparsa molto suggestiva la performance che si è tenuta a Villa Ferrigni, più conosciuta come Villa delle Ginestre, luogo in cui Leopardi ha trascorso l’ultima stagione della sua vita, ospite dell’amico Antonio Ranieri.

Quattro bravissimi e giovani interpreti, Giovanni Allocca, Francesca De Nicolais, Ettore Nigro, Gennaro Silvestro, si sono alternati in altrettanti racconti in cui la vicenda del grande poeta recanatese è stata, in maniera drammatica o ironica, evocata e trasfigurata  in nuove storie.

Tra di essi, particolarmente interessante è apparsa la breve, ma incisiva pièce teatrale dal titolo  Il Ribelle in cui il bravissimo Ettore Nigro ha interpretato, in un coinvolgente monologo di Anna Marchitelli ,il “mattoide infelice”, al secolo Emilio Caporali, giovane anarchico pugliese che nel 1889  a Napoli ferì Francesco Crispi lanciandogli una pietra.

Emilio Caporali viene “fissato” dietro le sbarre di un manicomio, luogo in cui il giovane trascorse in realtà gran parte della sua vita dopo il mancato attentato. Proprio qui  la storia vera e drammatica si svela…

Era la sera  del 13 Settembre 1889 quando, mentre Francesco Crispi passeggiava con sua figlia in carrozza lungo via Caracciolo, Caporali lanciò  due pietre contro l’allora Presidente del Consiglio: una colpì al mento Crispi, l’altra finì contro la carrozza .Il giovane, originario di Canosa di Puglia fu subito consegnato alle autorità, si dichiarò simpatizzante repubblicano di idee anarchiche e giustificò il suo gesto con queste parole: «Crispi mi è parso l’uomo più felice della terra ,mentre io sono il più infelice e perciò attentai alla sua vita

Il gesto non ebbe all’epoca lo stesso clamore mediatico che alcuni anni primi aveva suscitato il caso Passannante, l’attentatore di Umberto I, né la vita di Caporali apparve al momento  politicamente significativa. Il giovane ventunenne, infatti, aveva dovuto abbandonare gli studi di architettura dopo la morte del padre e si era trovato presto in difficoltà economiche tali da essere costretto ad accettare aiuti dagli amici.  «Ce l’ho con Crispi – aveva aggiunto – perché sono repubblicano e misero». I giornali – primi tra tutti La Riforma, L’Opinione e Il Diritto – definirono Caporali un pazzo.

Di certo il gesto eclatante fu dettato da un disperato e folle   impeto, ma – come dice il noto storico e conduttore televisivo Paolo Mieli nel  libro I conti con la storia  – l’allora Presidente del Consiglio volle indirizzare le indagini sull’ipotesi del complotto anarchico, mettendo subito in moto  la macchina del fango contro due oppositori del suo governo, Giovanni Bovio e Matteo Imbriani, in base agli irrilevanti legami che il giovane attentatore pugliese avrebbe avuto con l’Imbriani. Fece dare infatti grande risalto alla notizia che Caporali, per essere ammesso alle Belle Arti di Napoli, aveva ricevuto una raccomandazione da Giovanni Bovio, il leader del Partito Repubblicano che in Parlamento guidava l’opposizione. Tutte le macchinazioni inventate tuttavia caddero nel vuoto e alla fine non rimase che una sola carta da giocare per screditare politicamente l’accaduto: quella del mattoide.

Al processo tra i periti incaricati di stilare la perizia psichiatrica dell’imputato vi furono Augusto Tamburini, che aveva ricoperto lo stesso ruolo durante il processo Passannante, e Gaspare Virgilio, direttore del manicomio giudiziario di Aversa. I risultati, condizionati dalle teorie di Cesare Lombroso, incentrati su un’indole degenerativa e patologica dell’imputato, ebbero un esito scontato. Alle anomalie fisiche si aggiunsero il “vizio genetico” in quanto si dedusse forzatamente che il padre ed un cugino avessero sofferto di disturbi mentali e per il Caporali si aprirono le porte del manicomio giudiziario.

Il giovane passò in diverse strutture, a cominciare proprio dal manicomio napoletano di San Francesco di Sales (oggi sede del Liceo Vico), poi fu a Montelupo Fiorentino per tornare, infine, a Napoli nella nuova struttura intitolata a Leonardo Bianchi dopo il 1909.

Proprio in questa struttura è stata ritrovata negli archivi la cartella clinica dove si legge,tra gli altri interessanti spunti di ricerca : «Emilio Caporali, accusato di mancato assassinio per premeditazione in persona di Sua Eccellenza Cavalier Francesco Crispi Presidente dei Ministri del Regno di Italia

Secondo la riscostruzione di Pernicone e Ottinelli, l’anarchico Caporali,dopo aver trascorso diversi anni all’estero, tornò in Italia dove morì nel manicomio di Nocera Inferiore nel 1937.

Per quanto riguarda Francesco Crispi lo storico  Marco Ferrari nel suo libro Rosalia Montmasson dice : «Da quel giorno Crispi divenne cupo e paventò l’ipotesi di dimettersi (…) Anche la pace famigliare ne risentì…» Restò in carica fino al 1891, tornò alla presidenza due anni dopo.

Il 16 giugno del 1894  si ebbe un secondo attentato in via Gregoriana, a Roma. Questa volta l’attentatore si chiamava Paolo Lega ed era di origini romagnole. Anche stavolta Crispi uscì illeso e l’anarchico venne arrestato. Ma Lega non era uno sconosciuto o quasi come Caporali. Il capo della Questura di Roma Siro Sironi lo aveva individuato già due anni prima quando entrambi, poliziotto e attentatore, erano a Genova. Così che poté raccontare a Crispi tutto del ragazzo che aveva provato ad ucciderlo. Per Lega non venne scomodato nessun perito e morì nel carcere di Sassari nel 1896 in circostanze, ovviamente, poco chiare.

La pièce teatrale si conclude con la rievocazione dell’Infinito di Leopardi, la cui memoria consente al protagonista di mantenere contatti con la realtà, insieme alle lettere scritte e mai inviate alla propria madre. Così tra le lettere accartocciate si nasconde una pietra, simbolo per sempre  perduto  della sua libertà.

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