Il Racconto, Vesuvio Felix
di Lucio Sandon
Suol dirsi che Napoli abbia un gran nemico, il Vesuvio. Chi non ne ha? Altrove è un fiume, forse, altrove un lago, altrove l’aria pestilente. (Carlo Tito Dalbono)
Sembra proprio che la zona abbia sempre attratto gli esseri umani: durante i lavori di scavo per la costruzione di un’autostrada alle falde del Vulcano, è stato scoperto un insediamento risalente a seimila anni prima di Cristo, prontamente ributtato sotto terra per mancanza di fondi per la sua manutenzione.
L’etimologia del nome Vesuvio, deriva probabilmente dal rispetto per la potenza di fuoco osservata con terrore dai primi navigatori greci che sbarcarono sulle sue coste: Zeus in greco antico si pronunciava all’incirca Hyes cioè “Colui che fa piovere”.
Hyes, sposando Alcmena, la regina di Tebe ebbe un figlio: Hyesou in greco.
Proprio a Ercole, il figlio di Zeus: Hyesou Hyes, poi storpiato dai latini in “Vesuvius” venne dedicato il monte che sputava fiamme.
Qui su l’arida schiena/Del formidabil monte/Sterminator Vesevo,/La qual null’altro allegra arbor nè fiore,/Tuoi cespi solitari intorno spargi,/Odorata ginestra,/Contenta dei deserti. Anco ti vidi/De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade/Che cingon la cittade
Ormai sono oltre settant’anni che il formidabil monte del buon Giacomo Leopardi non sputa più fuoco e fiamme, e lungo le sue pendici la vegetazione di ginestre sta lentamente risalendo lungo le ultime colate di lava, sgretolandole e facendo man mano cambiare colore alla montagna.
Giuseppe Marotta a Milano ne scriveva come La montagna viola infatti il riflesso del sole sulla lava al tramonto manda dei bagliori di quel colore.
Ma in primavera osservandolo dalla costa, il monte è ormai occupato quasi fino alla cima da un insieme di sfumature di verde, a partire da quello profondo dei boschi di querce, allo smeraldo del mare delle pinete, a quello tenero dei germogli degli albicocchi e delle viti.
Venti specie di orchidee, rosmarino, origano, salvia, alloro e mirto profumano di macchia mediterranea la brezza che arriva su dal mare, i gheppi, le volpi e le donnole vanno a caccia di conigli selvatici nel sottobosco, dove nascono funghi porcini e asparagi selvatici. Sotto al gran cono si coltivano i vigneti portati dai greci e dai sanniti, e solo sulle sue lave vive il pomodorino di montagna con la caratteristica punta che lo contraddistingue.
La zona rossa di evacuazione in caso di eruzione, secondo la Protezione Civile, comprende oltre settecentomila persone, ma sono calcolate molto per difetto: sul sito dell’acquedotto locale si può agevolmente appurare che la popolazione servita è di oltre un milione e mezzo di abitanti, escludendo la metropoli partenopea, che ne conta almeno altrettanti.
Un’enorme lapide scritta in latino, murata sulla facciata di un palazzo che sorge a poche centinaia di metri dalle reggia di Portici e datata 1631, costituisce probabilmente il primo esempio al mondo di avviso di protezione civile, e ammonisce in questo modo la popolazione:
Posteri
E’ nel vostro interesse: l’esperienza vissuta ammaestra la vita a venire.
Vigilate. Venti volte da che brilla il sole, è storia, non è favola, fu in eruzione il Vesuvio, sempre con immane strage di quelli che hanno indugiato.
Ammonisco affinchè d’ora in poi non ghermisca gli incerti.
Questo monte ha gravido il ventre di bitume, allume, ferro, zolfo, oro, argento, nitro e fonti d’acqua: presto o tardi sarà incandescente e con gli influssi del mare li partorirà, però prima dell’eruzione si sconvolge e scuote la terra, manda fumo e lampeggia, vomita fiamme e squassa orribilmente l’aria, emette muggiti, boati, tuoni: fa allontanare dalle loro terre i vicini.
Spicca il volo finchè ti è consentito!
Da un momento all’altro scoppia, erompe impetuosamente, vomita un lago di miscela di fuoco, precipita in celere corsa, preclude la fuga tardiva.
Se ti ghermisce è finita: sei morto!
Si Rinnova il monito!
Il Vesuvio temuto, ha serbato in vita, non tenuto in considerazione ha fatto strage degli incauti e degli avidi, per i quali la casa e le masserizie contavano di più della vita. Allora sei hai giudizio, presta ascolto a questa lapide eloquente. Non curarti della casa, non badare ai bagagli: Fuggi, senza alcuna esitazione!
Per noi che sotto al Vulcano ci viviamo spensieratamente e ce ne freghiamo altamente di tutto questo, anche se qui abbiamo le nostre case, il nostro lavoro, i nostri cari, noi che ogni mattina, svegliandoci diamo solo una distratta occhiata verso la montagna, unicamente per controllare se c’è la neve d’inverno o se è coperta dalle nuvole per portare con noi un ombrello, per noi il Vesuvio è invece il gigante buono, che ci copre le spalle dai gelidi venti del nord e ci dà sollievo e ristoro nelle afose sere d’estate. Basta risalire per qualche minuto lungo i suoi fianchi seguendo la tortuosa stradina che vi si arrampica, per godere del fresco della montagna e del tappeto di luci che si stende lungo i suoi fianchi.
Il dottor Gardenia, lui invece viene dalle brume della pianura veneta, per lui il Vesuvio è semplicemente un vulcano pronto a scoppiare. Ne ha un po’ paura, ma purtroppo ha il suo lavoro e tutti i suoi affetti proprio sotto la bocca del mostro.
Magari se gli facciamo un po’ di compagnia, a lui e alle sue fide assistenti, lui potrà raccontarci ancora qualche storia divertente, così tra una merenda ed un bicchiere di vino, noi ascolteremo le sue chiacchiere e lui avrà un po’ meno paura dell’eruzione.
Dai, forza montiamo in sella con lui sul suo scoppiettante ciclomotore.
Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge, produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare. Il suo ultimo romanzo è La Macchina Anatomica, un thriller ambientato a Portici. Ha già pubblicato il romanzo Il Trentottesimo Elefante; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: Animal Garden e Vesuvio Felix, e una raccolta di racconti comici: Il Libro del Bestiario.
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