Il Racconto, Magistrati
di Giovanni Renella
Quando morì a Roma, nel 1943, Mariano non avrebbe mai immaginato che un giorno il suo nome sarebbe stato conosciuto in tutto il mondo.
Era nato a Napoli nel 1871, dove aveva studiato e si era laureato in giurisprudenza per poi diventare un magistrato.
Una brillante carriera lo aveva portato a rivestire le più alte cariche istituzionali e a dare lustro ad una famiglia di magistrati.
Mariano fu primo presidente della corte suprema di cassazione dal 1923 al 1941 e senatore del Regno dal 1924.
A poco meno di cinquant’anni dalla sua morte, però, lo avrebbero ricordato tutti per un atroce fatto di sangue.
In una tranquilla domenica d’estate, sei persone, cinque uomini e una donna, erano stati barbaramente uccisi, ma forse sarebbe più corretto dire, trucidati.
E sì, perché quando un gruppo di vigliacchi, che agisce nell’ombra, si prende la briga di imbottire con cento chili di tritolo una Fiat 126 per farla saltare in aria al momento opportuno, non si può più parlare semplicemente di morti ammazzati, ma si deve parlare di strage mafiosa.
Le immagini di quell’efferata carneficina, grazie alla televisione, avrebbero fatto il giro del mondo in poche ore, con il nome della via, teatro del massacro, in bella evidenza.
Nessuno più avrebbe dimenticato che, il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino e gli uomini e la donna della sua scorta erano stati maciullati da un’esplosione in via Mariano D’Amelio, magistrato.