Il Racconto, Ingratitudine
di Giovanni Renella
Aveva fatto il suo dovere fino in fondo e ora gli stavano dando il benservito.
La sua abnegazione, la tenacia e la costanza con cui aveva svolto l’incarico che gli era stato affidato stavano per essere ripagati con la più antica delle monete: l’irriconoscenza.
Sapeva di essere considerato né più né meno alla streguadi un mercenario, ma finiva sempre con l’affezionarsi a chi ricorreva a lui, specie se si trattava di bambini.
Un attaccamento al lavoro che era il tratto distintivo della sua famiglia, sin dal1921, anno in cui il capostipite, nei lontani Stati Uniti d’America, fu chiamato per la prima volta a prestare i suoi servizi.
Certo agli inizi era apparso un po’ grezzo, quasi goffo, ma si vedeva che era già anni luce avanti, sia sotto il profilo dell’estetica che della funzionalità, rispetto a chi lo aveva preceduto.
Era, senza ombra di dubbio, più discreto, al punto che spesso neanche se ne notava la presenza.
Da allora non c’era angolo del mondo o situazione in cui non fosse riuscito a rendersi utile, qualora si minacciasse uno spargimento di sangue.
Sempre pronto a intervenire,quando era chiamato in causa, non si tirava mai indietro se c’era da porre un argine a una perdita ematica o prodigarsi nella profilassi di ogni genere di taglio.
La rudezza dei primi tempi aveva ceduto il passo a performance molto più discrete, al punto che oggi non procurava più alcun dolore nella inevitabile fase del distacco.
Eppure, quando lo tiravano via da quelle piccole ferite che aveva protetto per tante ore, e finivano con il gettarlo nella spazzatura, quel povero cerotto non riusciva a farsi una ragione dell’ingratitudine umana.
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