Il Racconto, Il rito
di Giovanni Renella
Ormai erano rassegnati: di lì a poco si sarebbe svolto il rito.
Il solstizio d’estate era giunto e il loro destino stava per compiersi.
Avevano vissuto quella breve stagione della loro vita ben coperti, al riparo dalle intemperie, occultati a sguardi indiscreti o indagatori.
Chi li aveva visti crescere in cattività se ne era quasi compiaciuto, immaginando il doloroso, ma liberatorio, distacco finale.
A dispetto della sua crudezza, il rito era caratterizzato da un’assoluta mancanza di pregiudizi o discriminazioni.
Qualunque fosse la loro dislocazione, la pigmentazione, il numero, la dimensione o la morfologia erano tutti accomunati da uno stesso destino.
L’aumento costante della temperatura li aveva già messi sull’avviso e sapevano che l’improvvisa esposizione alla luce sarebbe stata il preludio della fine.
Godevano della carezza dell’aria e del tepore del sole che li riscaldava: quel sole che, allo stesso tempo, beffardo, ne rivelava però l’esistenza sino ad allora tenuta nascosta.
Finendoper tradirli, condannandoli all’inevitabile destino di essere strappati dalle proprie radici.
Così, ogni estate,in un rito che faceva da preludio alla prova costume, sul lettino dell’estetista s’interrompeva la breve esistenza dei peli di braccia, gambe e ascelle.
Solo momentaneamente, però.
Nel giro di qualche mese i bulbi piliferi sarebbero riusciti a prendersi la rivincita.
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