Il medico risponde: blackout, si può morire di adolescenza?
di Carlo Alfaro
Blackout, la pericolosa predisposizione degli adolescenti al rischio.
La stampa nazionale qualche giorno fa ha riportato il caso di un 14enne di Tivoli che si è impiccato con il cavo della sua Playstation, seguendo l’ultima moda ad altissimo rischio tra gli adolescenti, che può causare morte o danni cerebrali: il cosiddetto blackout. L’assurdo gioco prevede di provocarsi il soffocamento stringendosi la gola, per provare il brivido della quasi perdita di coscienza causata dall’ipossia – quello che chiamano auto-svenimento – e l’euforia della ripresa del respiro. Tragiche bravate che poi gli stessi protagonisti condividono sul web.
Il “gioco” è vissuto, dagli adolescenti – tipicamente dotati, a questa età, di scarsa capacità di valutazione delle conseguenze delle proprie azioni – come trasgressione, sfida estrema, prova di coraggio con cui dimostrare di essere più forti della morte e provare sensazioni intense, simili agli effetti delle droghe. La ripresa di conoscenza, infatti, è seguita da uno stato di ebbrezza, allucinazioni e rilassamento generale del corpo.
Il ragazzino è stato trovato dai genitori privo di sensi, in bagno, con il cavo della playstation stretto al collo. Soccorso subito dal padre e dalle forze dell’ordine, il 14enne si è salvato, e avrebbe dichiarato che non era sua intenzione morire. Qualche giorno prima, il giovane avrebbe mostrato al padre un video su youtube in cui si mostrava il comportamento che ha poi provato ad emulare. I giornali riportano che altri casi si sarebbero registrati a Bressanone, Rovigo e Padova.
La cosa più sconvolgente è che originariamente lo “svenimento indotto” era messo in atto con lo scopo di divertirsi, spesso in gruppo, senza capirne la gravità e la pericolosità, mentre oggi viene riportato che i ragazzi vi ricorrono anche per non andare a scuola, per evitare interrogazioni e compiti in classe, per reagire a litigi con i propri compagni e a incomprensioni con le insegnanti. Sono anche descritti casi in cui il blackout è crudelmente imposto da parte dei bulli alle vittime che costringono a provarne gli effetti.
Purtroppo ci sono molti video su youtube, che stimolano i ragazzi a provare a realizzarlo. In Gran Bretagna, Games Adolescents Shouldn’t Play, un’associazione che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alle condotte adolescenziali pericolose, ha denunciato che dal 1996, 458 giovani americani e 86 inglesi sono morti in seguito allo “svenimento indotto”. Le cifre sulle morti dovute a questa pratica rimangono comunque sommerse, perché molti casi vengono classificati erroneamente come suicidi. Il rapporto privilegiato degli adolescenti con le situazioni ad alto rischio si traduce, di fatto, tante volte, in un involontario tentativo di suicidio. Che si tratti di comportamenti alimentari incongrui, abuso di alcol e droghe, promiscuità sessuale, guida spericolata o comportamenti violenti, è certo che tra gli adolescenti e il rischio c’è forte affinità.
Un articolo pubblicato in questi giorni su Nature online sottolinea come il tasso di mortalità tra i 15 ei 19 anni in tutto il mondo sia di circa il 35% superiore a quello tra i 10 e 14 anni, quindi l’ingresso nell’adolescenza configura una specifica esposizione all’andare incontro a comportamenti a rischio di morte. In parte ciò è sempre stato attribuito allo spirito di ribellione proprio dell’adolescente: per realizzare il suo “passaggio” dall’infanzia all’età adulta, il ragazzo deve costruire la propria identità “altra” da quella delle generazioni che l’hanno preceduto, e per farlo deve mettersi alla prova, dimostrare di esistere davanti agli altri, esplorare sensazioni, provare nuove emozioni e vissuti. Ma la questione del rapporto tra adolescenti e condotte a rischio è più complessa e a farvi luce intervengono gli studi di neuroscienza.
Le prime teorie in merito si concentravano su uno squilibrio nel cervello in via di sviluppo tra le aree collegate all’impulsività, che si sviluppano prima, e quelle che governano i processi cognitivi, a maturazione più tardiva. Le aree cerebrali di controllo e di giudizio, chiamate globalmente “controller”, deputate al “decision making” e al controllo comportamentale volontario, in quanto permettono di discernere quali bisogni assecondare, che sono situate nella corteccia frontale e la corteccia cingolata anteriore, si sviluppano infatti verso i 20-25 anni. Invece, le aree cerebrali del “driver”, che regolano i bisogni fisici e gli impulsi emotivi e sono situate nelle regioni sottocorticali (sistema limbico), si sviluppano verso i 14-15 anni.
Questo modello da solo tuttavia non è sufficiente a spiegare tutti i comportamenti a rischio adottati dagli adolescenti. Una risposta più completa viene dallo studio dei circuiti neuronali responsabili dell’appagamento e del piacere, che negli adolescenti, più che nei bambini e negli adulti, sono ipersensibili ad eventi in cui è implicato un rischio, ma anche la possibilità di superarlo, di vincere, perché ciò crea un feedback positivo, soprattutto se ci possono essere dei risultati maggiori delle aspettative, cioè una ricompensa inattesa. Dunque, un giovane si sovraeccita al pensiero di un possibile esito positivo e piacevole di un certo comportamento rischioso, per cui è più incline a gettarsi in imprese il cui esito positivo non è scontato, perché motivato dal brivido di una potenziale ricompensa, vale a dire l’avercela fatta.
Non è il rischio in sé che eccita gli adolescenti, quanto piuttosto il pensiero di passarla liscia. Questo spiega la loro predisposizione bramosa ricerca e selezione (craving) degli stimoli ad alta capacità gratificante ed appagante, anche a costo di comportamenti pericolosi ed estremi. Su questa tendenza poi intervengono le influenze ambientali, come emerge da una recente ricerca della Temple University di Philadelphia, che ha sottoposto a risonanza magnetica alcuni adolescenti mentre giocavano a un videogioco in cui dovevano guidare un’auto superando semafori: se erano osservati da amici i ragazzi erano più propensi a passare col giallo rischiando incidenti, e in questi casi lo scanner ha rivelato una maggiore attivazione nelle regioni del cervello sensibili alla ricompensa, come lo striato ventrale.
Dunque, lo speciale rapporto col rischio degli adolescenti, dovuto in parte alle caratteristiche proprie del loro cervello, è amplificato dall’influenza delle insidie dell’ambiente contemporaneo.
Il dottor Carlo Alfaro, sorrentino, 54 anni, è un medico pediatra Dirigente Medico di I livello presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi della ASL NA3Sud, Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientifica SLAM Corsi e Formazione, e Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA).
Inoltre è giornalista pubblicista, organizzatore e presentatore di numerosi eventi culturali, attore di teatro e cinema, poeta pubblicato in antologie, autore di testi, animatore culturale di diverse associazioni sul territorio, direttore artistico di manifestazioni culturali.
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