Il Lieoro – La lepre e il suo amico
Una storia di gratitudine e una pagina dolorosa della nostra storia, quando il Lieoro, la Lepre, tornò tra coloro che gli avevano salvato la vita
di Gilberto Frigo, l’uomo del Nord
Inverno del 1943 durante la ritirata di Russia.
Era una notte fredda, nevicava. Il corpo di spedizione italiana in piena ritirata, sconfitto dalla morsa del gelo ed incalzato dalle truppe russe, cercava di svincolarsi dal nemico.
Una fredda giornata come di consueto era trascorsa nell’inverno dei paesi nord orientali. Uomini feriti nel corpo e nel morale si lasciavano morire congelati, coperti subito dalla fitta nevicata che proteggeva i soldati italiani alla vista della fanteria russa.
Un battaglione della Divisione Julia, di cui i nostri protagonisti facevano parte, si accampò per la notte in uno sperduto villaggio della taiga, trovandovi rifugio e rispetto dagli abitanti.
Contadini, gente semplice che ebbe fiducia nell’accoglierli. «A nemico in fuga ponti d’oro»: così forse pensava la gente semplice del borgo, posto sulla loro strada nella sconfinata pianura.
Prima di allora nelle trincee in riva al Don, fra tregue e battaglie, pidocchi e fango, i due, un carabiniere ed un poliziotto aggregati al comando del battaglione alpini, avevano stretta amicizia fra loro e si erano proposti di portare a casa la pelle.
Inseparabili commilitoni si supportavano a vicenda, sia nei combattimenti, sia nella dura vita di trincea.
Freddo e fame erano i compagni d’ogni notte, assieme allo scoppio delle bombe, alle raffiche di mitraglia che tenevano all’erta i soldati.
Quella sera, durante la perigliosa ritirata, un colpo di fortuna li aiutò. Essendo indipendenti dal battaglione cui erano aggregati, trovarono accoglienza, calore e cibo presso una famiglia, che li sfamò e diede loro da dormire.
Poter liberarsi della stanchezza estrema, scaldarsi al calore confortevole dell’isba, dormire finalmente in un vero letto, comodità da tempo non godute, li riempì di soddisfazione, una piccola gioia. Un sonno profondo li colse.
Al risveglio, il mattino successivo, il resto del battaglione non c’era già più.
Pressati dal nemico nella notte i loro commilitoni erano partiti di buon’ora per defilarsi dal combattimento. Il villaggio era in fermento.
I due alpini dovendo ricongiungersi alla loro Divisione in piena ritirata, ebbero un’idea:
«Ci travestiamo da contadini. Chiediamo al capo villaggio se ci da un carro ed un cavallo, così tentiamo di riagganciare i nostri.»
Gli abitanti del villaggio aderirono alle loro richieste, gli italiani comportatisi bene furono premiati.
Fra i due soldati, il più esile, di cui non conosco il nome ma so che proveniva dalla val di Fassa si travestì da donna, indossando un lungo sottanone scuro, uno scialle di lana sulle spalle, un fazzoletto nero a coprirgli la testa.
L’altro, il soldato Vittorio da Pergine Valsugana, soprannominato il “lieoro” (la lepre – per la sua furbizia e agilità), si travestì da contadino, con tabarro e il capo coperto da un cappello di pelo di coniglio.
Uomo robusto, persona intelligente, scaltra e veloce di pensiero, personaggio intraprendente, nei mesi trascorsi nella sterminata Russia si era imposto di imparare almeno due frasi al giorno della lingua locale, così facendo sapeva cavarsela in ogni situazione.
Con l’aiuto e la benedizione del villaggio caricarono il carretto. Nascoste le armi sotto degli stracci, ed alcune forcate di fieno, si misero in marcia seguendo la scia lasciata nella neve dal battaglione.
Nel gelido mattino il Lieoro, redini alla mano, guidava il cavallo.
Il sole basso all’orizzonte non portava tepore. L’aria fredda entrava nella gola, gelava l’alito, i polmoni, si vedevano anche gli sbuffi di vapore del cavallo.
Ad un posto di blocco furono fermati da un reparto di truppe russo.
I nostri due amici, si comportarono come marito e moglie: lei con lo sguardo abbassato, solo gli occhi si intravedevano dal fazzoletto che copriva la lunga barba di giorni, taceva visibilmente spaventata per la presenza dei soldati, si teneva stretta al marito. Il lieoro, forte e sicuro di sé rispose alle domande dei russi, con convinzione tale da far credere che veramente fossero dei contadini impauriti, che cercavano di rientrare al villaggio, alla loro isba.
I soldati non sospettando nulla, li avvertirono della presenza di truppe straniere che si trovavano nella direzione in cui stavano andando, di fare molta attenzione perché c’era pericolo.
I due falsi contadini e falsi coniugi, col cuore che batteva forte per la paura di essere smascherati, ringraziando si dileguarono in tutta fretta e poterono in breve raggiungere il loro battaglione.
Con le poche parole conosciute in russo riuscirono a beffare il nemico e si salvarono.
Dopo molti anni il Lieoro ritornò a far visita a quel villaggio sperduto nella taiga, memore dell’aiuto ricevuto dagli abitanti che gli avevano salvato la vita e la libertà.
Si recò in Russia per rivivere quei momenti e ringraziare i contadini che lo accolsero calorosamente. Gli anziani ricordavano ancora la famosa notte.
Essendo nel frattempo divenuto benestante,assieme ad altri reduci della Divisione Julia portò una cospicua somma di denaro in dono alla comunità, somma che servì per la realizzazione di un asilo infantile, costruito poi dagli stessi alpini.
La vita non ha prezzo.
Non è mai sufficientemente ricambiato quanto avuto da chi ti ha aiutato, da chi ti ha salvato la vita.
Questa breve storia mi fu raccontata così, come l’ho scritta, dal Lieoro stesso, al secolo Pallaoro Vittorio da Pergine Valsugana, persona che ebbi modo di conoscere e stimare nel periodo in cui vissi e lavorai con il commercio di legname in quella valle.
Oggi naturalmente il Lieoro non c’è più. Resta però il ricordo del suo racconto e del bene ricevuto e fatto.
Di seguito una poesia scritta dall’autore.
Centomila gavette di ghiaccio
Lungo era il cammino in quelle giornate,
tormenta, neve e gelo, erano compagne di noi alpini
L’armata silenziosa camminava
spesso incalzata, da i Soldà di Russia.
Nicolaiewka appena era stata lasciata, tanti
Morti, dispersi, feriti, imprigionati, li eran rimasti
Centomila gavette di ghiaccio marciavano silenziose in ritirata,
nella Taiga gelata di neve ricoperta.
La notte trascorsa nelle isbe riscaldate,
accolti eravamo da gente di buon cuore, come figli del signore.
L’alba ancor non era spuntata,
che, a sfuggir dell’incalzar di truppe ben armate,
solleciti andare dovevamo andare avanti.
Centomila gavette di ghiaccio marciavano silenziose in ritirata,
Passo su passo, i più forti aprivano la strada.
In mezzo a tanta neve, a tanto gelo,
la Patria era il sogno di noi Alpini.
Ogni sei passi qualcun di noi accolto dal dolce sogno di
dormir per sempre, cadeva sul soffice bianco cuscino accogliente.
Migliaia furono gli Alpini che di la tornar a baita non ebbero.
Mai più dimenticheremo quei soldati, che per un sogno di potenza,
sui loro passi non son tornati.
Arrivati che fummo nei pressi di ferrovia per essere imbarcati
di una chiesa spersa per i prati,
suonammo la campana a morto per ricordar
i fratelli laggiù lasciati.
DOM…DOM…DOM…
E il mio papà l’autore e ne sono fiera!! Nonostante conosca questi scritti e le sue poesie, rileggerli non mi lascia mai indifferente e le lacrime si affacciano agli occhi scendendo copiose sul viso per la commozione.
Il nostro uomo del Nord riesce a trasmettere il calore del suo Cuore anche al Sud!