Il Film, In guerra per amore
di Renato Aiello
Dopo la buona prova registica di La mafia uccide solo d’estate, l’ex iena Pif (al secolo Pierfrancesco Diliberto) torna dietro la macchina da presa parlando ancora della sua Sicilia e dell’organizzazione criminale che ne ha segnato la Storia e il destino.
Fuori concorso all’ultimo Social World Film Festival, dove è stato proiettato nell’Arena Loren, la piazza del cinema di Vico Equense, il film In guerra per amore ricostruisce, attraverso verità storiche e personaggi romanzati, lo sbarco alleato in Sicilia e tutto quello che è derivato dall’amministrazione americana temporanea nell’isola.
Se agli americani va il merito di aver iniziato proprio da lì la grande risalita che ci liberò dai nazifascisti, è pur vero, come già molti sostennero a suo tempo e come fanno oggi, che la mafia conobbe una rinascita inaspettata e improvvida grazie a loro.
Nella pellicola, che alterna momenti seri ad altri più leggeri per non appesantire la drammaticità delle vicende, viene mostrato come gli alti ufficiali statunitensi, i generali e tutti quelli responsabili del governo provvisorio, cominciarono ad appoggiarsi per il controllo del territorio proprio ai futuri capi e boss di Cosa Nostra che erano stati tenuti nell’ombra e molto spesso nelle celle dal regime fascista.
Da contorno alla storia, sebbene dovrebbe forse esserne il centro, c’è il tentativo del soldato italoamericano Arturo Giammaresi (interpretato proprio da Pif) di ricongiungersi all’amata Flora (una radiosa Miriam Leone), promessa dal padre nel corso della guerra al braccio destro di Lucky Luciano a New York.
Come nel suo esordio filmico, che gli valse il David di Donatello, Pif gioca su questi amori impossibili, combattuti o osteggiati, sullo sfondo delle vicende della sua terra, qui addirittura travalicando i confini e inserendo anche il contesto newyorkese, funzionale al legame fatale che si ristabilì tra le due mafie attraverso l’Atlantico.
La passione e l’impegno civile che il regista mette sempre nei suoi film, e mai così vivo come stavolta, gli fanno perdonare alcuni buchi di sceneggiatura e ridondanze narrative. Basti pensare alla chicca dell’inquadratura in cui Arturo si fa spiegare in un viottolo siciliano la strada da parte di un contadino, riproponendo esattamente pose ed espressioni della famosa fotografia in bianco e nero di Robert Capa del soldato americano sulle colline sicule nel 1943.
Il protagonista, insieme al luogotenente Philip Catelli (ritratto da Andrea Di Stefano), si opporrà allo stato delle cose, con una sempre più crescente consapevolezza della restaurazione mafiosa in Sicilia ad opera degli States, arrivando persino a scrivere una lettera al presidente Roosevelt, da cui cercherà di farsi ricevere invano alla Casa Bianca.
Quell’attesa esprime bene l’impotenza di chi ha visto risorgere i mostri mafiosi in Sicilia (riciclati per l’occasione come nuovi sindaci e politici della Democrazia Cristiana, con tanti nomi famosi che scorreranno alla fine del film), e che più di gridare e denunciare non può. Una piccola lezione di storia appassionata e ben confezionata, dopo tutto.