I vaccini anti-Covid funzionano?
Il nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, parla dell’efficacia dei diversi vaccini che vengono somministrati
L’efficacia dei vaccini contro il Covid può essere valutata in due modi: dosando la risposta anticorpale contro la proteina Spike del Sars-CoV-2 nelle persone vaccinate o valutando con studi epidemiologici se nella popolazione vaccinata si riducono le infezioni o la loro gravità.
In generale, dai dati in Italia e nel mondo, i vaccini che si stanno praticando sembrano molto efficaci. La risposta immunitaria sembra addirittura più alta nei soggetti vaccinati rispetto a quella riscontrata nei soggetti che hanno sviluppato l’infezione.
I punti da chiarire sono:
- Quale sia il livello di risposta anticorpale che garantisce protezione.
- Se il titolo di anticorpi corrisponda realmente all’efficacia del vaccino, che è legata anche alla risposta immunitaria cellulo-mediata che non siamo in grado di misurare al momento.
- Se già dopo la prima dose ci sia già una protezione almeno dalle forme gravi della patologia.
- Quanto tempo dura l’immunità data dal vaccino.
- Se le persone vaccinate possono, nel caso si contagino, comunque trasmettere l’infezione anche se restano asintomatiche.
- Se i vaccini disponibili siano protettivi nei confronti delle varianti.
- Se ci siano dei tipi di vaccini da preferire in base alle caratteristiche del soggetto.
Vediamo quali sono i dati che abbiamo a disposizione al momento.
Il primo studio in Italia sui vaccinati è stato condotto sui sanitari dell’Ospedale Bambin Gesù: a 21 giorni dalla somministrazione della prima dose del vaccino Pfizer, il 99% ha sviluppato anticorpi, mentre 7 giorni dopo la seconda dose gli anticorpi sono stati sviluppati nel 100% dei casi. Inoltre, a partire dal 14esimo giorno dalla prima dose, nessuno dei vaccinati si è infettato.
In Emilia-Romagna, sui 1.391 operatori sanitari e ospiti di residenze sanitarie per anziani (Rsa), a distanza di 4 settimane dalla seconda dose di vaccino Pfizer, il 99,9% ha sviluppato gli anticorpi. Parallelamente, dal 20 dicembre al 21 febbraio i casi di positività tra gli operatori sanitari sono calati dell’86% e nelle persone assistite nelle Rsa del 66%.
In uno studio realizzato a Sassari su 378 operatori vaccinati con il Pzifer, a 10 giorni dalla somministrazione della prima dose il 76,32% ha manifestato una risposta immunitaria verso l’antigene Spike; a 10 giorni dalla seconda dose, la risposta anticorpale è emersa nel 100% dei soggetti. Inoltre, tra coloro che dopo la prima dose hanno contratto una infezione da Covid, nessuno ha manifestato una condizione clinica rilevante, in particolare nessuno ha sviluppato la malattia localizzata a livello polmonare.
A Roma, i ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano (ISG) hanno valutato la risposta anticorpale in 248 operatori sanitari vaccinati con Pfizer, riscontrando un rialzo degli anticorpi nel 99,5% dei soggetti 7 giorni dopo la somministrazione della seconda dose, ma in termini quantitativi le donne e i più giovani hanno risposto meglio. Inoltre, nei soggetti sovrappeso/obesi la risposta è stata di circa la metà rispetto a quelli normo/sottopeso. Peraltro l’obesità è un fattore di rischio per ospedalizzazione (aumento del rischio del 113%) e morte (aumento del rischio del 50%) da Covid-19. È noto che l’obesità si associa a infiammazione e immuno-depressione e ciò può avere impatto negativo sia sul decorso della malattia che sulla risposta ai vaccini. Anche il vaccino antinfluenzale è meno efficace nelle persone con obesità. Le persone obese potrebbero richiedere una somministrazione extra di vaccino o una dose più alta.
Secondo la Fondazione Gimbe, per effetto della vaccinazione i casi di contagio tra gli operatori sanitari in Italia si sono ridotti di oltre il 64,2% in meno di un mese.
Nel Lazio, 12 medici e infermieri sono risultati positivi dopo la seconda dose di vaccino Pfizer. Non si tratterebbe di un unico focolaio, in quanto i sanitari non lavorano nella stessa struttura. Anche in Lombardia 9 operatori sanitari sono risultati positivi dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer, di cui 4 erano infetti dalla variante inglese. Tutti i casi erano asintomatici, il che rinforza l’ipotesi che il vaccino blocchi la malattia, non l’infezione. È auspicabile però che queste infezioni non siano contagiose, perché, avendo poche replicazioni nel corpo umano – causa la reazione immunitaria che subito si attiva in chi è vaccinato – il virus non riesce a raggiungere la carica sufficiente per poter essere trasmesso.
In Israele, che ha effettuato una massiccia campagna vaccinale sulla popolazione raggiungendo il più alto tasso di vaccinazione al mondo, si è registrata una netta riduzione non solo dei casi gravi, delle ospedalizzazioni e delle morti, ma anche una netta riduzione del numero di nuovi positivi.
Inoltre, nelle persone anche solo parzialmente vaccinate con il Pfizer che avevano contratto l’infezione si è trovata una carica virale sino a 20 volte inferiore rispetto ai non vaccinati, suggerendo dunque che il vaccino non si limita a impedire lo sviluppo della malattia, ma riduce fortemente la diffusione del virus. Lo studio realizzato in Israele su 1,2 milioni di persone durante la campagna di vaccinazione e pubblicato su New England Journal of Medicine conclude che il vaccino Pfizer è efficace al 94% contro il Covid-19. Lo Stato ha adottato, in virtù dell’elevata efficacia dimostrata dal vaccino, il Gran Pass, un “certificato di immunità” rilasciato Ministero della Salute, che consente ai vaccinati di accedere a tutti i luoghi senza restrizioni e riprendere una vita semi-normale, il che ha permesso riapertura di teatri, palestre e concerti.
Il vaccino prodotto da AstraZeneca alla fine della fase sperimentale ha dimostrato una capacità di prevenzione del 100% della malattia grave causata dall’infezione da Sars-CoV-2 cioè di prevenire l’ospedalizzazione e la morte in tutte le fasce di età, al pari degli altri vaccini già autorizzati, Pfizer-BioNTech e Moderna. Al momento dell’approvazione i dati circa la prevenzione delle forme leggere riportavano un’efficacia del 60% nei soggetti fino a 55 anni di età.
Caratteristiche vantaggiose sono la possibilità di conservarlo in un frigorifero comune fino 6 mesi e quella di somministrare la seconda dose dopo 3 mesi. Già 4 settimane dopo la prima dose si raggiunge infatti un livello di protezione efficace che si mantiene fino alla 12esima settimana, quando si richiama la seconda dose. Gli studi dicono che aumentando le settimane tra la prima e la seconda dose, può aumentare anche l’efficacia che arriva all’82%.
Non è noto se preservi anche dall’infezione e dalla trasmissione se ci si infetta. Il vaccino in uno studio nel Regno Unito, ha ridotto le infezioni asintomatiche del 49,3%.
L’agenzia regolatoria europea (EMA) ne ha approvato l’utilizzo senza limitazioni di età e patologie, mentre quella italiana (Aifa) lo ha approvato inizialmente solo per la popolazione 18-55 anni e in buona salute, ma successivamente il Ministero della Salute lo ha autorizzato anche per i soggetti di età compresa tra i 55 e i 65 anni, specificando inoltre che il vaccino può essere usato anche per i soggetti “… con condizioni che possono aumentare il rischio di sviluppare forme severe di Covid-19 senza quella connotazione di gravità riportata per le persone definite estremamente vulnerabili”.
Questo aggiornamento deriva dal parere del Comitato tecnico-scientifico dell’Aifa e delle precisazioni del Consiglio superiore della sanità, che hanno tenuto conto delle nuove evidenze scientifiche che riportano stime di efficacia superiori a quelle iniziali e del giudizio espresso dal gruppo consultivo di esperti sull’immunizzazione (Sage) dell’Oms che lo raccomanda anche per gli over 65 e contro le varianti di Sars-CoV-2.
Secondo uno studio scozzese, i vaccini stanno causando il crollo delle ospedalizzazioni da Covid-19: su 1,14 milioni di prime somministrazioni dei vaccini Pfizer e AstraZeneca, l’efficacia sui ricoveri è dell’85% per il vaccino Pfizer e ancora di più, del 94% per quello AstraZeneca.
A conferma della fiducia nella validità dei vaccini anti-Covid disponibili, il Cdc, Centro di controllo e prevenzione delle malattie degli Stati Uniti, ha dichiarato che le persone che hanno ricevuto le due dosi del vaccino Pfizer o Moderna possono evitare la quarantena prevista in caso di contatto con un positivo, come accade per le persone con immunità naturale dopo aver superato una infezione da Covid-19.
Invece in Italia il Ministero della Salute ha comunicato che per il momento al vaccinato si applica la stessa quarantena prevista per tutti se viene a contatto con un positivo.
Riguardo al rischio che le varianti del Sars-CoV-2 possano inficiare l’efficacia dei vaccini, i dati finora disponibili suggeriscono che entrambi i vaccini mRNA, Pfizer e Moderna, forniscono elevati livelli di protezione sulla variante inglese, sia attraverso gli anticorpi neutralizzanti sia l’aumento dei linfociti T responsabili della immunità cellulo-mediata. Invece la variante sudafricana sarebbe 6 volte meno sensibile agli anticorpi prodotti dai vaccini a RNA. Dubbi anche per la protezione sulla variante brasiliana. Non si conosce per queste varianti l’importanza dell’immunità cellulare.
Moderna ha messo a punto da poco un aggiornamento del suo vaccino per proteggere anche dalla variante sudafricana, da somministrare eventualmente come terza dose di richiamo.
Il vaccino AstraZeneca sarebbe efficace contro le varianti escluso la sudafricana, largamente responsabile della seconda ondata dell’epidemia in Sud Africa (95% delle infezioni in questa Nazione). Per questo motivo il Paese ha deciso di sospenderne la somministrazione (utilizzerà solo quello della Johnson & Johnson).
Nel Regno Unito, per combattere la variante inglese, è stato disposto uno studio randomizzato che prevede di somministrare una prima dose di AstraZeneca e una seconda di Pfizer: infatti i vaccini vettoriali come Astrazeneca sono maggiormente efficaci nello stimolare la risposta cellulo-mediata. AstraZeneca sta già studiando come modificare il suo vaccino per adattarlo alle varianti.
Ad aprile arriverà in Italia anche il vaccino di Johnson & Johnson (linea Janssen), basato come Astrazeneca su un vettore adenovirale contenente il gene per la produzione della proteina Spike, ha già avuto l’autorizzazione all’uso in emergenza dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti.
Entro metà marzo anche l’Agenzia europea del farmaco dovrebbe dare il via libera all’immissione in commercio condizionale. Il vaccino è indicato per tutte le classi di età a partire dai 18 anni. Ha il vantaggio di essere monodose, maneggevole da conservare, oltre a una buona tollerabilità. Negli studi clinici ha mostrato efficacia del 66% nel prevenire i casi da moderati a gravi dopo 28 giorni dalla somministrazione, che sale però al 77% nei confronti delle forme gravi della malattia con necessità di ricovero dopo 14 gg dalla somministrazione e all’85% dopo 28 gg. Il vaccino è stato però efficace al 100% nel proteggere contro la morte per Covid-19. L’efficacia è emersa anche nei confronti di ceppi di nuove varianti compresa quella del Sud Africa, dove è stato sperimentato. È in corso uno studio su un possibile richiamo, che potrebbe portare l’efficacia complessiva all’80%. I dati preliminari suggeriscono anche che il vaccino riduce le infezioni asintomatiche con un tasso di efficacia dell’88%. In Italia dovrebbe essere disponibile ad aprile.
L’implemento delle vaccinazioni è urgente perché l’epidemia, in Italia e nel mondo, avanza e i vaccini sono la nostra unica arma per fermarla, a parte le arcinote misure di salute pubblica, che non possiamo per ora permetterci di abbassare.