Gli antichi crocifissi di Portici
di Stanislao Scognamiglio
I crocifissi, o crocefissi, rappresentazione della figura di Gesù Cristo messo in croce, è uno dei simboli più diffusi del Cristianesimo. Per i cristiani assume il significato della riflessione sul valore della redenzione operata dal Cristo attraverso il suo sacrificio, liberando così l’umanità dal peccato originale.
La composizione classica di un crocefisso consiste in una croce latina alla quale è accostato un corpo di un uomo, seminudo e senza vita, rappresentante Gesù Cristo. L’uomo ha le mani inchiodate ai bracci, i piedi inchiodati al fusto, il costato trafitto, il capo reclinato sulla spalla, cinto da una corona di spine. Sopra il capo, affisso all’asse verticale della croce, si legge la scritta INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum, Gesù Nazareno Re dei Giudei).
A Portici, realizzati in legno, in metallo o in altro materiale, seguendo le più varie tecniche artistiche (pittura, altorilievo, bassorilievo, cesellatura, scultura) da artisti più o memo noti, i crocefissi sono presenti nelle numerose chiese pubbliche e private. E non solo nei luoghi sacri, perché, come è usale in tanti altri Paesi di fede cristiana e come è ritenuto dalla Corte Europea, è il «… frutto e simbolo dell’evoluzione storica della comunità italiana e di un’antichissima e ininterrotta tradizione ancora oggi attuale e fondata sui principi e sui valori democratici e umanitari delle civiltà occidentali»: il crocefisso viene esposto anche negli spazi pubblici, come uffici, scuole, enti, strade.
Tra quelli che sono mostrati alla quotidiana venerazione dei fedeli, proponiamo quattro crocifissi, che per provata vetustà e/o per pregevole fattura, da sempre hanno richiamato anche l’attenzione del visitatore o del viandante.
Il primo, sicuramente il più ammirabile fra tutti, è quello donato nel 1535, durante la sua sosta a Portici, dall’imperatore Carlo V di Spagna al poeta cosentino Bernardino Martirano, segretario del Vicereame di Napoli.
In origine, questo crocifisso era posto sull’unico altare della cappella privata consacrata alla Redenzione del Signore, sita all’interno del palazzo appartenuto ai principi della Torella Caracciolo, attualmente nota come villa Nava. Oggigiorno trionfa nell’abside della modernissima chiesa parrocchiale dedicata al Santissimo Redentore, sorta nell’antica via Scalea.
Il reverendo Nicola Nocerino, primo storico porticese, nel suo volume La Real Villa di Portici illustrata dal Reverendo D. Nicola Nocerino parroco in essa, edito a Napoli nel 1787, così lo descrive «… un Crocifisso di un solo pezzo di legno, alto al naturale di un Uomo, così ben formato, così al vivo, così al naturale grondante sangue, che in vederlo arreca un orror santo, e compuzione. Poggia i piedi su di un scabelletto attaccato alla Croce, sopra del quale i detti due piedi sono fermati con due chiodi, ha la corona di spine a guisa di celata, o Cappello, il tronco della Croce è rustico al naturale, have in forma tutte quelle qualità di un vero Crocefisso antichissimo. Si conserva in un divoto Oratorio privato, ed insensibile bisogna che sia, chi ivi entrando non resti commosso, e sorpreso. Dicesi quì fusse lasciato dall’Imperador Carlo V., a cui era stato donato come una cosa più rara, e più insigne, che donar si potesse a un tanto Imperatore».
Alla descrizione di fine Settecento fa eco quella del poliedrico artista porticese Beniamino Ascione, che nella stesura dei due suoi lavori, entrambi dati alle stampe nell’anno 1968, Portici Notizie storiche, pubblicato a Portici, e Storie e leggende porticesi, stampato ad Acerra, così ne parla: « … un Crocifisso meravigliosamente scolpito in legno che si vuole sia opera di Giovanni Merliano da Nola, grande al naturale, su un tronco rustico. Il Cristo poggia i piedi su una specie di sgabellino fissato con due chiodi e in testa ha una grande corona di spine. Il Crocifisso è lavorato e dipinto con tale maestria che desta ribrezzo e pietà il vedere la pelle lacera, i muscoli, le arterie, i nervi e le piaghe del corpo tutto insanguinato. Sul volto spicca quanto di più pietoso ha saputo esprimere mano maestra guidata da ispirata mente, e sul resto del corpo le parti anatomiche interne ed esterne sono così bene rappresentate da far arrossire i più esercitati studiosi di necroscopia. Insensibile sarebbe chi, entrando all’improvviso in questa cappella, non restasse sorpreso e commosso a tale spettacolo. Per il suo valore ben si comprende che il Crocifisso fu dono imperiale, che Carlo volle fare al suo devoto ospite».
Intorno a questo crocifisso nel tempo passato è fiorita una curiosa leggenda popolare, riportata sia dall’Ascione che dal saggista Pietro Gargano, giornalista emerito. Quest’ultimo, nel suo libro Portici storia, tradizioni e immagini, pubblicato a Napoli nel 1985, scrive «Opera di Giovanni Merliano da Nola, allievo di Michelangelo è un capolavoro di realismo: le ferite sembrano sanguinare davvero. Fu donato da Carlo V a Martirano e per oltre quattro secoli restò nella cappella (ora sconsacrata) dell’attuale Villa Nava. Un alluce del Cristo, piegato negli spasimi dell’agonia, sembra ritirarsi nel legno della Croce; ciò ha dato origine a una leggenda con doppia versione: 1) Gesù avrebbe piegato il dito per sottrarlo al bacio di un uomo indegno; 2) Gesù così avrebbe salvato la vita al primo proprietario della villa di Leucopetra, perché il dito era stato cosparso di veleno da domestici infedeli».
Il secondo, risalente al XVIII secolo, è quello posto sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale consacrata alla Natività della Beata Vergine Maria e San Ciro. Intagliato da un non meglio identificato scultore, è un vero capolavoro di realismo. Il simulacro induce tanto rispetto e venerazione, al punto che, davanti a esso, come scrive Pietro Gargano nel suo citato libro, «… s’inginocchiava il sedicente eretico Emanuele Rocco». Quest’opera, come quello di villa Nava, presenta una singolare particolarità: gli assi della croce sulla quale è inchiodato il Cristo hanno sezione circolare..
Il terzo, seicentesca esecuzione di un ignoto pittore, è quello incastonato nell’edicola votiva posta all’angolo tra via Lagno e corso Giuseppe Garibaldi. Il tempietto, che raccoglie il simulacro poggiante su una base di piperno, è racchiuso da una moderna finestra metallica a tre luci.
Notizia di questo crocifisso la ritroviamo in Storie e leggende porticesi di Beniamino Ascione. L’Autore riporta che «Dopo la terribile eruzione del 1631, fu posto all’estremità di questo lagno, che faceva angolo con la strada regia di Portici, un grande Crocifisso, sostituito in seguito dall’attuale statua, per devoto interessamento degli operai di Pietrarsa. Il nome di Croce del Lagno è probabilmente derivato dall’antico scolo delle acque, ma il popolino lo attribuisce ad un lamento, che il Crocifisso avrebbe tratto dall’offesa di mano sacrilega».
Non molto dissimile dalla precedente versione è quella data nel suo successivo saggio Le cappellette votive in Portici e la loro lenta scomparsa, pubblicato a Portici nel 1970. Infatti, l’Autore scrive che «Dopo la terribile eruzione del 1631 fu posto all’estremità di questo lagno, che faceva angolo con la strada reggia di Portici, ora Corso Garibaldi, un grande Crocifisso, che fu in seguito sostituito dall’attuale statua, dalla devozione degli operai di Pietrarsa per riverenza al logoro Crocifisso di legno spianato. La probabile origine del nome di Croce del Lagno si vuole sia appunto dallo scolo delle acque, ma il popolino lo attribuisce ad un lamento, che il Crocifisso avrebbe tratto dall’offesa di lancio di pietre da mano sacrilega».
Il quarto, anch’esso opera di ignoto, realizzato con la tecnica della pittura su tavola, è quello affisso alla parete dell’edicola votiva collocata tra i civici 96 e 98 dello stabile di via Amoretti che fa angolo con via Dalbono. È questo «… un grande Crocifisso di legno piatto, dipinto al naturale, davanti vi è un cancello di ferro», come si legge nel menzionato Le cappellette votive in Portici e la loro lenta scomparsa dell’Ascione. In un recente restauro, l’originario cancello in ferro è stato sostituito da un finestrone a tre luci, con intelaiatura in alluminio anodizzato, sormontato da una rosta semicircolare.
I crocifissi delle due edicole votive, come quello di villa Nava, presentano una particolarissima caratteristica: i piedi del Cristo sono inchiodati alla croce singolarmente e non sovrapposti. Inoltre ad entrambi è legato l’origine della frase popolare ’a cróce ’e sotto e ’a cróce ’e coppa. Il detto era usato dagli abitanti della zona nord occidentale di Portici, per indicare l’inizio e la fine dell’antico alveo, in cui scorrevano le acque piovane provenienti dalla parte alta del casale.