Giovanni Boccaccio e i suoi soggiorni napoletani
di Michele Di Iorio
Giovanni Boccaccio, nato nel 1313 in Toscana nel borgo medievale di Certaldo, tra Firenze e San Gimignano, in Val d’Elsa, figlio naturale di Boccaccino da Chelino, ricco mercante di stoffe a Firenze e a Parigi, e da una povera vedova, donna Giovanna, che delusa dalle vane promesse dell’uomo morì pochi anni dopo.
Il padre lo accolse in casa nel 1320, insieme a sua moglie Margherita de’ Mardoli, imparentata con la famiglia Portinari, parenti di messer Dante Alighieri.
Giovanni visse nella casa paterna studiando latino e poesia e la Divina Commedia con il precettore Giovanni Mazzuoli da Strada.
Il giovane Boccaccio si appassionò agli studi classici, ma il padre aveva altre mire per lui. Socio della potente compagnia fiorentina bancaria de’ Bardi, Boccaccino da Chelino nel 1327 fu nominato direttore della filiale commerciale di Napoli, ove si trasferì con tutta la famiglia.
Giovanni aveva 14 anni, ma fu subito introdotto nell’agenzia in via Sedile di Porto.
Il padre Boccaccino per i suoi prestiti a re Roberto d’Angiò era molto considerato a corte, e il giovane innamorato della poesia si muoveva con disinvoltura tra gli eruditi angioini.
Boccaccio si iscrisse a Giurisprudenza all’Università che a quel tempo aveva sede nel Palazzo Caracciolo d’Avellino, a largo Avellino, antico decumano, l’odierna via Anticaglia, così denominata per i ruderi del teatro greco-romano.
Nel corso degli studi strinse amicizia con il professore Cino da Pistoia, il poeta il poeta fiorentino amico di Dante e maestro di Petrarca. Boccaccio fu colpito dagli scritti dei due autori toscani e dal Dolce Stilnovo.
Sensibile al fascino femminile, nei primi anni del suo soggiorno a Napoli il giovane Boccaccio ebbe delle liasion con una certa Pampinea e poi con vedova.
Furono suoi amici gli eruditi di corte Graziolo Bambaglioli, noto per il suo commento all’Inferno della Divina Commedia, l’astronomo e astrologo Andalò del Negro, con il bibliotecario Paolo da Perugia, e dei filosofi e scrittori Giovanni Barrili, e Barbato da Sulmonae fra Dionigi di Borgo San Sepolcro.
Giovanni Boccaccio, animo sensibile, giovane colto, non disdegnava però di frequentare le taverne napoletane della zona portuale, come quelle di de Jacobo, di Roberto e Martino, o quella alla Marina, dove apprezzava i piatti della gustosa cucina partenopea.
Il Boccaccio il Sabato Santo precedente la Pasqua del 1331 nella chiesa di San Lorenzo Maggiore incontrò una donna bellissima e capricciosa dai capelli biondi e sensuali occhi a mandorla: ne rimase folgorato. Le diede un nome di fantasia, Fiammetta, ma era Maria, figlia naturale dil re Roberto e moglie del vecchio conte d’Aquino di Palena.
Briosa animatrice della vita di corte, Fiammetta ben presto lo corrispose. Divenne la sua musa: Boccaccio a Napoli scrisse alcune novelle che poi vennero inserite nel Decamerone, il Filocolo, ambientato nel monastero di Sant’Arcangelo a Baiano, e il Filostrato, il Teseida e tante poesie in latino.
Fiammetta poco dopo si stancò di lui, ma, benchè avesse iniziato una nuova relazione, Boccaccio sperava che tornasse a lui.
Il padre dovette rientrare improvvisamente a Firenze perchè la Compagnia de’ Bardi si trovava in gravi difficoltà economiche per il mancata restituzione di un ingente prestito fatto alla Corona inglese. Il giovane Giovanni rimase ancora a Napoli a dirigere l’agenzia bancaria in vece del padre.
Ispirato da Fiammetta, in questo periodo cominciò a scrivere il futuro Decamerone.
Fallita la banca, il padre, finito in miseria e rimasto vedovo, nel 1339 lo richiamò a Firenze. Nel 1340 scrisse l’Elegia di Fiammetta, piena di struggente nostalgia della donna amata.
Tornato in Toscana, ebbe fortuna come poeta e scrittore, e tra 1348 e 1355 completò il Decamerone, quasi tutto ispirato dal suo soggiorno a Napoli, anche se le novelle che lo compongono venivano narrate nell’arco di dieci giorni tra giovani che si erano rifugiati in campagna per sfuggire all’epidemia di peste che imperversava a Firenze.
Dopo averlo pubblicato il Boccaccio ripartì per Napoli pieno di speranze di rirovare quella città che aveva lasciato a malincuore, ma rimase deluso. La corte angiona della giovane regina Giovanna Durazzo d’Angiò era in decadenza, piena di corruzione e volgarità: era sparito l’amore per la cultura.
Ripartì quindi per Firenze, che gli tributò sempre grandi onori. Nel 1370 tornò ancora una volta a Napoli: quella terra continuava ad esercitare su di lui un grande fascino. Purtroppo, ne rimase ancor più deluso e ripartì per non farvi più ritorno nel 1371.