Gestione a domicilio dei pazienti Covid
Dal nostro medico Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi: ecco le linee guida del Ministero per curare gli ammalati Covid a domicilio
La gestione domiciliare degli ammalati di Covid da parte dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta è un obiettivo importante nei programmi di controllo della pandemia per ridurre la pressione sulle strutture di pronto soccorso degli ospedali e la saturazione dei posti letto in degenza e in terapia intensiva, che è considerata responsabile dell’aumento di mortalità.
Ad oggi i pazienti Covid assistiti al proprio domicilio hanno superato in Italia quota 750mila.
Sarà ora una “scala a punti”, la Mews | Modified early warning score, prevista da una circolare ufficiale del Ministero della Salute – Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2 – a definire lo stato del paziente Covid gestito al domicilio dal medico di famiglia: basata su precisi parametri clinici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura, livello di coscienza, saturazione di ossigeno), consente di dividere i pazienti in tre categorie di rischio, con differenti necessità terapeutiche e assistenziali: rischio basso/stabile (score 0-2); medio/instabile (score 3-4); alto/critico (score 5).
La valutazione dei parametri va fatta al momento della diagnosi di infezione e con monitoraggio quotidiano per verificare eventuali cambiamenti o aggravamenti del quadro clinico.
Si sa infatti che nella fase iniziale dell’infezione il Sars-CoV-2, dopo essersi legato ai recettori ACE2 ed essere penetrato all’interno delle cellule dell’ospite, inizia la replicazione. Questa fase può essere asintomatica o pauci-sintomatica, con sintomi simil-influenzali.
Nella maggior parte dei casi, il sistema immunitario riesce a bloccare l’infezione in questo stadio, ed entro 1 settimana o 2 si ha la guarigione. In un 10-15% dei casi, però, la malattia può evolvere verso una seconda fase, caratterizzata da alterazioni a livello polmonare causate sia dagli effetti diretti del virus sia dalla risposta immunitaria dell’ospite.
Tale fase si caratterizza per un quadro di polmonite interstiziale, spesso bilaterale, che può, successivamente, sfociare verso una insufficienza respiratoria e, in un numero limitato di persone, in un quadro clinico ingravescente dominato dalla tempesta citochinica e dal conseguente stato iperinfiammatorio, che, coinvolgendo la coagulazione con trombosi vascolari multiple, determina conseguenze locali e sistemiche gravi e potenzialmente fatali.
La gestione del paziente va effettuata, con la regia del medico curante, in collaborazione con le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), che effettuano l’assistenza al domicilio.
I pazienti a basso rischio sono definiti dall’assenza di comorbilità (es. ipertensione, patologia cardiovascolare, diabete, obesità, insufficienza renale cronica, immunodepressione, tumore, patologia polmonare) e sulla base dell’essere asintomatici o paucisintomatici, con:
- sintomatologia simil-influenzale (ad esempio malessere, rinite, tosse secca senza difficoltà respiratoria, dolori articolari o muscolari, cefalea, astenia);
- assenza di dispnea e tachipnea; se disponibile la saturimetria, SpO2 > 92%;
- febbre (>38°C) da meno di 72 ore;
- sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione);
- disturbi del gusto e dell’olfatto.
Per questa categoria di pazienti sono previsti:
- vigile attesa;
- misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;
- trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo, sedativi della tosse, anti-infiammatori);
- appropriate idratazione e nutrizione;
- non modificare terapie croniche in atto per altre patologie, in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti;
- non utilizzare routinariamente corticosteroidi (raccomandati solo nei soggetti che necessitano di ossigenoterapia);
- non utilizzare eparina (tranne nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto o per altre cause es. traumi);
- non utilizzare antibiotici (se non in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o se il quadro depone per sovrapposizione batterica);
- non utilizzare idrossiclorochina, la cui efficacia non è supportata da studi clinici;
- non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi, per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente.
Il documento sottolinea poi che non esistono, ad oggi, indicazioni all’uso di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), per cui il loro utilizzo non viene raccomandato.
Il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta assiste il paziente con sintomatologia lieve coadiuvato da un membro della famiglia, che dovrà essere educato su norme di igiene, prevenzione e corretto approccio della persona positiva che vive in casa.