MedicinaSocietà

Estate 2022: vecchie e nuove epidemie

Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria all’ASLnapoli3sud, Consigliere nazionale Società italiana medicina dell’Adolescenza, si sofferma sulle vecchie e nuove epidemie che affliggono il Villaggio Globale 

L’estate è sempre stata una stagione in cui, a differenza di quanto si pensa comunemente, è facile ammalarsi: infezioni delle alte vie respiratorie, otiti medie o esterne, gastroenteriti, infezioni cutanee. Ma questa estate emergono anche malattie di insorgenza recente.

A fare da capolista, sempre il Covid-19, che conosciamo solo dalla fine del 2019 e dopo il devastante bilancio di questi due anni e mezzo ancora non accenna ad esaurire la sua furia pandemica, rivelandosi un virus sempre imprevedibile e tenace, anche grazie all’elevato potere mutageno che genera di continuo nuove varianti più competitive e aggressive sul piano della contagiosità.

In Italia, finalmente, l’ultima ondata, sostenuta dalla contagiosissima Omicron 5, mostra segnali di rallentamento, dopo il picco di metà luglio: la curva epidemica è in discesa, calano incidenza (sempre comunque attorno ai 1.000 casi per 100 mila abitanti) e Rt (sempre superiore a 1, che è considerata la soglia per definire l’epidemia).

Ancora in crescita però i ricoveri, sia in area di degenza ordinaria che, in misura minore, nelle terapie intensive, le reinfezioni (che sono una caratteristica di Omicron, per la sua capacità di eludere le pregresse difese immunitarie contro il virus), e purtroppo i decessi.

Peraltro, è presumibile che il numero di casi reali sia molto più elevato di quelli noti alle statistiche ufficiali, per diverse ragioni:

  • mancata esecuzione del tampone nonostante i sintomi o il contatto con un caso positivo;
  • mancata comunicazione della positività al test “fai da te”;
  • falsi negativi al test in autosomministrazione (soprattutto perché essendo la maggior parte delle persone immunizzate da precedenti contatti o vaccini, all’inizio dei sintomi la carica virale può essere ancora tenuta a bada e quindi non rilevabile).

Anche a livello mondiale, la crescita dei nuovi casi settimanali sembra essersi stabilizzata, sebbene sempre molto elevata e con l’Italia sempre ai primi posti. Frattanto, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) avvisa della comparsa (da maggio) di una nuova sotto-variante di Omicron, la BA.2.75, ribattezzata “Centaurus”. BA.2.75 ha 9 ulteriori mutazioni nella proteina Spike rispetto a BA.2 (Omicron 2), dalla quale è gemmata, che potrebbero aumentarne la contagiosità. Il problema è che con l’autunno-inverno le condizioni saranno favorevoli per una nuova ripresa virale. Inoltre, tutti i nuovi casi sono a rischio di sviluppare sequele a distanza accrescendo la popolazione di affetti da Long-Covid.

Accanto al Covid-19, preoccupa il Vaiolo delle scimmie, causato dal Monkeypox (Mpx), un virus a DNA dello stesso genere del vaiolo, ormai eradicato dal 1977 grazie alla vaccinazione universale. L’Oms ha dichiarato il 23 luglio il vaiolo delle scimmie “Emergenza sanitaria globale”. Al 23 luglio risultano quasi 17.000 i casi segnalati da 75 Paesi e territori e 5 i decessi, questi ultimi tutti in Africa.

Solo in Europa sono segnalati 10.604 casi, in Italia 407 casi. Nelle aree endemiche africane, il virus Mpx circola in mammiferi serbatoi, quali i piccoli roditori come topi, scoiattoli o ghiri, dai quali può contagiare occasionalmente altri mammiferi es. i canidi, i primati e anche l’uomo, attraverso:

  • il contatto con il sangue, esempio con il morso;
  • il consumo alimentare di carne e altri prodotti provenienti da animali infetti non adeguatamente cotti;
  • il contatto diretto con i fluidi corporei o le lesioni cutanee/mucose di un animale infetto.

In passato, i focolai al di fuori dell’Africa occidentale o centrale sono stati collegati soltanto a viaggi in quelle nelle regioni o all’importazione di animali infetti. Si è sempre trattato di epidemie molto contenute e a diffusione solo locale. Invece nell’epidemia globale attuale, che, sviluppatasi a partire da aprile 2022 e sostenuta dal ceppo virale presente in Africa Occidentale, sta evolvendo a velocità notevole e continua ad avere come epicentro l’Europa, per la prima volta si stanno verificando focolai contemporaneamente in molti Paesi di aree geografiche ampiamente disparate, in quanto la trasmissione si verifica da una persona all’altra.

La trasmissione da persona a persona può verificarsi attraverso:

  • contatto diretto di pelle o mucose con il materiale di lesioni e fluidi corporei infetti;
  • contatto indiretto con indumenti, lenzuola, asciugamani, biancheria, oggetti contaminati (i poxvirus possono sopravvivere a lungo al di fuori del corpo);
  • goccioline respiratorie nel contatto prolungato faccia a faccia.

La modalità di trasmissione più spesso riportata nell’attuale epidemia è stata attraverso l’attività sessuale, principalmente con la pratica dei rapporti anali (da cui la maggiore incidenza nella popolazione gay). Tuttavia, il vaiolo delle scimmie non è un’infezione a trasmissione sessuale: piuttosto, i rapporti sessuali sono una forma di interazione molto ravvicinata che implica esteso contatto con la cute, le mucose, i fluidi corporei, la saliva e il respiro, aumentando la potenzialità di trasmissione.

La patologia si trasmette solo da un soggetto sintomatico, a differenza del Covid. Si suppone che finora il virus Mpx sia stato tenuto sotto controllo dal vaccino universale contro il vaiolo umano, che protegge almeno per l’85%, ma essendo stato sospeso dal 1981 oggi gran parte della popolazione non è vaccinata e quindi non è protetta.

La curva di diffusione è stata rapida in coincidenza con la revoca delle restrizioni pandemiche ai viaggi, agli eventi internazionali e ai raduni di massa. Il periodo di incubazione è generalmente compreso tra 6 e 13 giorni, ma può variare da 5 a 21 giorni. I sintomi sono simili a quelli del vaiolo, sebbene la malattia sia clinicamente meno grave. La maggior parte dei casi evolve in modo lieve e autolimitante. La durata può protrarsi fino a diverse settimane (circa 20 giorni).

I sintomi contemplano febbre alta, mal di testa, dolori muscolari e articolari, linfoadenomegalia, brividi, stanchezza, vomito e diarrea e una caratteristica eruzione cutanea a distribuzione irregolare di tipo papulare o vescicolare che progredisce in fasi sequenziali con tutte le lesioni nello stesso stadio evolutivo – macule, papule, vescicole, pustole, croste: può ricordare la varicella.

L’eruzione cutanea di solito compare da 1 a 5 giorni dopo i primi sintomi: dapprima sul viso, poi diffusa dappertutto, inclusi palmi delle mani e piante dei piedi. Nell’epidemia globale attuale, spesso mancano i segni prodromici generali e l’eruzione ha una localizzazione prevalentemente perigenitale o perianale, per la via di contagio spesso sessuale.

Nei pazienti immunocompetenti non è di solito mortale. Un paziente infetto può trasmettere la malattia fino a 4 settimane dalla comparsa dei sintomi. Il tasso di riproduzione (R0) sarebbe pari a 0,8. La diagnosi avviene con raccolta, tramite tampone delle lesioni, di un campione di essudato per la ricerca delle sequenze di DNA del virus Mpx mediante reazione a catena della polimerasi (PCR).

La prevenzione si basa su igiene accurata, sesso con preservativo, diagnosi precoce, isolamento stretto degli ammalati e tracciamento dei contatti. La vaccinazione contro il vaiolo ha dimostrato di essere protettiva contro il vaiolo delle scimmie e risulta in grado di prevenire la malattia se somministrato entro 4 giorni dall’esposizione al virus. Per questo l’Unione europea, attraverso Hera, l’Autorità europea per le emergenze sanitarie, ne ha acquistato sufficienti dosi da distribuire ai Paesi membri. Esiste anche un farmaco antivirale specifico (Tecovirimat, TPOXX), in formulazione orale.

Un altro virus non comune che sta emergendo in Italia è il West Nile Virus, responsabile della Febbre del Nilo occidentale: sono 15 i casi confermati nel Nord Italia da inizio giugno al 19 luglio 2022. Di questi, 9 casi si sono manifestati nella forma neuro-invasiva e 4 pazienti sono deceduti. In Italia la malattia è stata dichiarata endemica dal 2008 nelle zone della Pianura Padana (Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia), in prossimità del fiume Po e del suo delta.

Il West Nile Virus viene trasmesso all’uomo attraverso le punture di zanzare del genere Culex. Il virus ha come serbatoio naturale gli uccelli e può essere trasmesso, oltre che agli esseri umani, ad altri mammiferi, soprattutto cavalli, ma anche cani, gatti, conigli. L’uomo non funge da serbatoio perché non viene raggiunta la viremia sufficiente da consentire alla zanzara di assumere pungendolo una quantità di virus utile a ritrasmettere l’infezione. Non è dunque mai possibile la trasmissione diretta da persona a persona.

Il periodo di incubazione, dal momento della puntura della zanzara infetta, varia in genere fra 2 e 15 giorni, ma può arrivare a 21 giorni nei soggetti con deficit immunitari. Circa l’80% delle infezioni da West Nile nell’uomo decorrono in modo asintomatico o subclinico. Nei casi sintomatici, si registrano manifestazioni di tipo simil-influenzale: febbre moderata che in genere perdura da tre a sei giorni, malessere generalizzato, anoressia, nausea, cefalea. Possono associarsi arrossamento e dolore oculare, mal di schiena, dolori articolari e muscolari diffusi, tosse e dispnea, eruzioni cutanee, linfadenopatia, sintomi gastrointestinali (vomito e diarrea). I sintomi durano pochi giorni, in rari casi qualche settimana. La più comune complicazione oculare è una corioretinite multifocale. In meno dell’1% dei casi possono verificarsi gravi complicazioni neurologiche quali meningite asettica, encefalite, meningoencefalite, denunciate dalla comparsa di febbre elevata continua, marcata cefalea, estrema debolezza, paralisi flaccida (poliomielite West Nile), rigidità, modificazione dello stato di coscienza, confusione, disorientamento, tremori, convulsioni, atassia, disturbi di tipo extrapiramidale, neurite ottica, poliradiculite, stupore e coma. La malattia neuro-invasiva si sviluppa più comunemente in soggetti anziani e immunodepressi. L’accertamento diagnostico si basa sul riscontro nel siero di anticorpi virus-specifici e nella dimostrazione della presenza di materiale genetico del virus nel sangue o nel liquor cefalorachidiano. La terapia è unicamente sintomatica e di supporto e non esiste un vaccino per l’uomo (disponibile solo per i cavalli). La prevenzione si fonda sostanzialmente sulla lotta alle punture di zanzara.

Infine, sale l’allerta in tutto il mondo per la diffusione ubiquitaria di ceppi multiresistenti del fungo Candida auris. In Italia dal 2019 sono stati descritti circa 300 casi. Il Ministero ha nominato il Laboratorio Nazionale di Riferimento presso il Gemelli (è difficile identificarla con i metodi di laboratorio standard) e raccomanda di monitorare i pazienti immunocompromessi, ospedalizzati, che hanno subito un trapianto d’organo o diabetici, con uso di cateteri, in trattamento con agenti immunosoppressivi o farmaci antibiotici, con degenze prolungate.

La Candida auris, scoperta poco più di 10 anni fa, è considerata altamente pericolosa per l’essere umano, potendo causare, soprattutto nelle persone fragili, infezioni molto invasive (sepsi) e resistenti ai trattamenti, spesso letali (fino al 60-70%). L’infezione si trasmette per contatto diretto con una persona infettata o colonizzata, o per contatto indiretto con oggetti, apparecchiature e superfici contaminate.

Il patogeno può colonizzare la pelle per più mesi e può vivere a lungo sulle superfici, dove i disinfettanti comunemente usati per sanificare gli ambienti ospedalieri risultano inefficaci nell’eradicarlo. Il fungo, molto contagioso, può determinare epidemie ospedaliere di difficile controllo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *