Disturbi Alimentari, tutto quello che c’è da sapere
di Carlo Alfaro
PRAIANO (SA) – Al Centro Culturale Andrea Pane lo scorso giovedì 24 gennaio si è tenuto un interessante seminario, aperto a un pubblico di studenti, docenti, genitori, su I Disturbi alimentari – Quali cause e i possibili interventi di prevenzione e cura.
Organizzato dall’Ufficio Servizio Sociali del Comune di Praiano, l’evento rientra nel fortunato ciclo di incontri a tematiche sulla salute organizzato dal vicesindaco Anna Maria Caso e dall’assistente sociale del Comune Elena Carotenuto per sensibilizzare e informare la popolazione su tematiche sanitarie emergenti. Il simposio ha visto l’intervento dei ragazzi della Scuola Media A. Gatto.
Tutto quello che c’è da sapere sui Disturbi del Comportamento Alimentare è stato approfondito nei dettagli dagli esperti intervenuti come relatori: Anna Maria Caso, sociologa, Carmelo Rizzo, allergologo, Carlo Alfaro, pediatra, Anna Di Martino, pedagogista.
Definizione. I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), o semplicemente Disturbi Alimentari (DA), comprendono un insieme di condizioni psicopatologiche che si esprimono attraverso condotte alimentari alterate, azione di controllo della funzione alimentare e del peso corporeo, disturbi dell’immagine corporea, dell’autostima, del pensiero e dell’affettività.
Tipologie di disturbo. Le tre categorie di DCA inquadrate nell’ultimo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V) dell’American Psychiatric Association sono: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Disturbo da Alimentazione Incontrollata.
L’Anoressia Nervosa è caratterizzata da una restrizione dell’apporto energetico rispetto al bisogno, che determina una significativa riduzione di peso e altre complicazioni fisiche, ed è provocata da una percezione distorta del proprio peso (dismorfobia) e da un’ossessione di controllo dell’introduzione del cibo ai fini di ottenere una sensazione di autonomia, forza, autostima.
La Bulimia Nervosa, che è in aumento rispetto all’anoressia e interessa persone più grandi, ne rappresenta spesso una evoluzione (il 25-35% dei bulimici ha sofferto di anoressia) e condivide la stessa ossessione per il cibo e il peso, con la differenza che il controllo del peso viene attuato non attraverso restrizione dell’apporto calorico ma tramite condotte di compenso dell’eccessivo introito alimentare, quali manovre di eliminazione (induzione del vomito, assunzione di diuretici o lassativi) o comportamenti compensatori (attività fisica sostenuta, digiuno successivo). Spesso la bulimia si presenta attualmente in forma “multi-compulsiva”, cioè associata a disturbi della personalità, abuso di alcolici e stupefacenti, shopping compulsivo, cleptomania. Sono inoltre in aumento le forme atipiche di anoressia e bulimia, dove mancano alcuni degli elementi tipici, esempio anoressia senza amenorrea, o bulimia senza vomito auto-provocato: i cosiddetti “Disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati” o Ednos (Eating Disorder Not Otherwise Specified).
Infine, il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, o Binge Eating Disorder (BED, Disturbo da Abbuffata Compulsiva), frequente negli adolescenti, è un disturbo di tipo compulsivo che si manifesta con episodi di perdita di controllo rispetto all’introduzione del cibo e conseguente assunzione esagerata e parossistica di cibo. Rispetto alla bulimia, si associa la angosciosa sensazione di perdere il controllo dell’atto del mangiare, e inoltre non sono presenti pratiche di controllo dell’eccessivo introito alimentare, quali iperattività fisica, vomito autoindotto, uso improprio di diuretici e lassativi, per cui chi ne è affetto è quasi sempre obeso o in notevole sovrappeso (circa il 30% degli obesi sarebbe affetto da questo disturbo).
Altri disturbi correlati ai DCA sono:
- la Vigoressia, che, molto legata al mondo delle palestre e del fitness, è l’ossessione per la muscolatura: è chiamata anche Anoressia Inversa, dato che il soggetto percepisce erroneamente il proprio corpo sempre troppo esile, con iper-controllo su tono muscolare, allenamento, massa magra, dieta ipocalorica e iperproteica, spesso anche con uso di sostanze illegali per pompare il fisico (e il fenomeno è in aumento anche nelle donne);
- l’Ortoressia, ossessione per il mangiare sano, con morbosa restrizione del cibo considerato poco salutare, attraverso una selezione rigida degli alimenti e un’eccessiva scrupolosità con cui si ricerca cibo “puro”: in pratica, il controllo in questo caso concerne non la quantità ma la qualità del cibo;
- la Drunkoressia, una forma al limite tra disturbo alimentare e dipendenza alcolica, frequente nelle adolescenti, che consiste nel digiunare durante il giorno per poi sballarsi con l’alcol durante gli happy hour;
- il Disturbo Evitante/Restrittivo nell’Assunzione di Cibo (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder, ARFID), nuova entità nosografica che identifica una forma grave di rifiuto del cibo che, a differenza dell’anoressia nervosa, non è collegata a una immagine distorta del proprio corpo né a paura di prendere peso, ma a puro e semplice disinteresse per il cibo, spesso in associazione a una estrema selettività verso gli alimenti: colpisce soprattutto i bambini, già da 2-3 anni fino alla preadolescenza, e in particolare i maschi.
Dimensioni del fenomeno. Le diagnosi di DCA appaiono in continuo aumento, senza considerare i numerosi casi che restano sommersi, per l’elevata incidenza di forme precliniche/borderline e per le emozioni di ambivalenza, segretezza e vergogna che portano il paziente alla rimozione-negazione del disturbo. L’incidenza dell’anoressia nervosa è stimata di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Per quanto riguarda la bulimia, ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. In Italia, si stima che siano più di 3 milioni le persone affette da DCA, di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. L’anoressia è la terza più comune “malattia cronica” fra i giovani. Circa il 10% delle ragazze tra i 15 e i 25 anni soffre di disturbi alimentari, anche in fase parziale o sub-clinica. Le ricerche epidemiologiche indicano che questi disturbi sono in aumento anche nella popolazione maschile: 1 caso su 10 interessa i maschi, ma tra i pazienti più piccoli i maschi arrivano al 40% dei casi.
Età colpita. L’età in cui si registra il picco di esordio è tra i 14 e i 19 anni, ma alcune osservazioni cliniche recenti hanno segnalato un aumento dei casi a esordio precoce, con abbassamento della soglia d’insorgenza fino in età pre-pubere (8-9 anni): l’incidenza nella fascia dagli 8 ai 14 anni è salita dal 5% al 20% dei casi. Aumentano anche i casi in età adulta: presenterebbe un disturbo alimentare fino al 3% delle donne tra i 40 e i 50 anni.
Prognosi. I DCA rappresentano la prima causa di morte per malattia (dopo gli incidenti stradali) nelle donne tra i 12 e i 25 anni. Sono, tra le patologie psichiatriche, quelle col più alto indice di mortalità, in particolare, nel caso dell’anoressia nervosa, il rischio di morte è 10 volte maggiore di quello di persone sane della stessa età e sesso, con un tasso di mortalità del 10% a dieci anni dall’esordio e del 20% a vent’anni. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira intorno al 6%, per bulimia nervosa al 2% e sempre intorno al 2% per gli altri disturbi alimentari non specificati. La mortalità è legata sia alle complicanze della malnutrizione, sia all’alto tasso di suicidi.
Fisiopatologia. Dal punto di vista funzionale, i DCA sono condizioni patologiche in cui il rapporto con il cibo, rifiutato o ingerito in quantità smodata, esprime un disagio psicologico profondo che ha a che vedere con un forte senso di inadeguatezza, insicurezza e incapacità di affrontare le difficoltà, che viene compensato dalla sensazione di forza data dalla capacità di controllo della dieta e del corpo. Il nucleo psicopatologico comune di tutti i DCA è il pensiero ossessivo sul corpo e sul peso come oggetti su cui esercitare controllo. Similmente alle dipendenze da sostanze, il paziente vive un’intensa e patologica ideazione su un oggetto. La finalità è difendersi da conflitti emotivi e incertezze identitarie profondamente angoscianti. La pressione culturale sulla forma fisica, enfatizzata nelle società occidentali come ideale dell’Io e pilastro del valore e del successo personale, favoriscono negli individui più fragili la concentrazione sull’alimentazione. L’alimentazione e il peso fungono in tal modo da elemento “patoplastico”, cioè che suggerisce la forma da dare al sintomo che rappresenta la risposta adattativa al disagio emotivo. Per tale motivo, i DCA vengono considerati “sindromi culturali”, ovvero malattie che sono il prodotto dell’impatto della società sulla vulnerabilità individuale, tanto è vero che in Paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa dell’Est, appena sono stati importati modelli culturali e stili di vita occidentali, questi disturbi hanno raggiunto i livelli di diffusione tipici del mondo occidentale. A fronte dell’aumento dei DCA, si registra una riduzione dei casi di tossicodipendenza nelle stesse fasce di età, come se il disturbo alimentare oggi si prestasse meglio ad esprimere un malessere che, in altre epoche ed in altri contesti, poteva trovare compenso in altri tipi di manifestazione patologica. I DCA si scatenano soprattutto, e non a caso, in adolescenza. L’adolescente vive un turbinoso cambiamento dell’immagine del proprio corpo, che diventa oggetto della sua ossessiva attenzione. I DCA esprimono nell’adolescente il conflitto tra mente e corpo: il cibo diventa lo strumento per controllare il corpo e, attraverso il corpo, il mondo esterno. Inoltre, gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili alle insidie della rete, dove fioriscono i siti web “pro-anoressia” che utilizzano un linguaggio subdolo e ammiccante per agganciare le ragazze insicure propagandando l’anoressia come una divinità, la dea ANA, a cui immolarsi. Tutto ciò è aggravato dall’imperante utilizzo dei social, che gli utenti utilizzano come vetrina di se stessi e facilitano confronti e frustrazioni. Ma perché ci si focalizza sul cibo e sul peso? Nutrirsi è un’esigenza biologica primaria, tuttavia questo bisogno viene soddisfatto attraverso una risposta rivestita di significati etici, religiosi, psicologici, storici, sociali, culturali. Nato dunque come bisogno primario, il “nutrimento” quando diventa “alimentazione” si trasforma in un codice di comunicazione che esprime l’identità dell’individuo. Per questo, è anche sede di emozioni e conflitti. La raccolta, la preparazione, il consumo dei cibi assume per gli individui un valore rituale ed etico, ed è soprattutto una forma di comunicazione e integrazione sociale e familiare. Anche la stessa percezione del gusto è connotata culturalmente, e caratterizza un popolo o una comunità. Nella storia dell’uomo, il cibo ha sempre rivestito il duplice valore di elemento cruciale per la sopravvivenza (nutrimento) e strumento simbolico (alimento) che, nei millenni e nelle varie culture, attraverso rituali, usi, e costumi, lo hanno arricchito di significati aggiuntivi e ulteriori. Il cibo non è fatto solo di nutrienti, ma del rapporto che abbiamo con quello che mangiamo, dei pensieri e delle emozioni che ci suscita. Il rapporto è a due vie: la mente elabora il sapore del cibo, così come un sapore attiva risposte emotive. Ciò può comportare che mangiando cerchiamo in realtà una sensazione o un effetto sul sistema nervoso al di là del reale bisogno di nutrirci di quel cibo. Mangiare diventa, per l’essere umano, un fenomeno governato dalle emozioni. A mediare e integrare le attività della mente con i processi biologici del corpo ci sono l’ipotalamo e l’insula, che attivano o disattivano la digestione in base agli input positivi o negativi della corteccia cerebrale. Un corretto rapporto con il cibo ci permette di attivare i processi fondamentali per il nostro benessere. Essere consapevoli della nostra fame e della nostra sazietà è un dono innato che ci consente di ricercare il cibo quando ne abbiamo bisogno e di rifiutarlo quando siamo pieni, ma che spesso trascuriamo di ascoltare. Bisogna insegnare ed imparare ad apprezzare gusto, odore, aspetto, consistenza e suono degli alimenti, notarne ogni più piccolo particolare. Ed instaurare sin da quando i bambini sono piccoli in famiglia un “ambiente alimentare” in cui si crei un clima di informazione e consapevolezza su ciò che si mangia. Ciò significa insegnare ai bambini ad apprezzare il cibo e ad adottare buone abitudini alimentari, e a essere consapevoli realisticamente del proprio corpo, anche nei suoi difetti o imperfezioni. Questo rapporto positivo e consapevole col cibo e il corpo va conservato tutta la vita. Essere insoddisfatti del proprio aspetto è alla base di comportamenti alimentari disfunzionali, mentre il nutrirsi dovrebbe essere sganciato dal colore delle emozioni e dei sensi di colpa, e bisognerebbe focalizzarsi, più che sul peso, sulla salute nel suo significato più ampio. In Italia, secondo le ultime statistiche, il 58,4% delle ragazze e il 17,7% dei ragazzi normopeso seguono inutilmente diete perché vogliono cambiare il loro aspetto, che non accettano, molto spesso diete fai da te, che generano il pericoloso fenomeno del “dieting”, cioè della dipendenza dalle diete.
Eziopatogenesi. Dal punto di vista eziopatogenetico, i DCA non hanno una singola causa, ma sono condizioni multifattoriali, nel senso che rappresentano il prodotto di un mosaico di fattori genetici (diversi studi sembrano suggerire che circa il 50% del rischio sia dovuto a fattori genetici), biologici (difficoltà nelle fasi di passaggio dall’infanzia alla vita adulta, scatenate dai cambiamenti fisici e ormonali che caratterizzano la pubertà), familiari (assetti familiari e relazionali disfunzionali), di storia di vita (es. abusi, traumi, lutti), psicologici (insoddisfazione per il corpo, perfezionismo, bassa autostima, difficoltà a riconoscere e regolare le emozioni, difficoltà nel controllo degli impulsi e nelle relazioni interpersonali). La perdita di peso per una qualche causa, e soprattutto una recente dieta, sono tra i fattori scatenanti più comuni, soprattutto nei bambini ed adolescenti, e questo deve indurre cautela nell’approccio dietetico al problema dell’obesità infantile.
La diagnosi precoce, che influenza il successo della terapia, rappresenta una sfida difficile.
Sintomatologia. Spesso i sintomi iniziali si confondono con le mode culturali salutiste e di fitness e sono negati dai pazienti. Per i genitori sintomi di allarme possono essere: perdita di peso, scarso appetito, progressiva riduzione e selezione dei cibi, adozione di regole dietetiche estreme e rigide, salto dei pasti, aumento smodato dell’attività fisica, cambiamenti del tono dell’umore, perdita di interessi, chiusura in se stessi, alterazioni del sonno, paura di ingrassare (spesso non riportata nelle giovanissime), eccessiva attenzione alla bilancia (pesarsi spesso, persino prima e dopo i pasti), valutazione di sè dipendente in modo predominante o esclusivo dal controllo esercitato sul peso, sulla forma del corpo e sull’alimentazione. Gli insegnanti possono osservare cali repentini di peso, il fatto che lo studente vada a vomitare in bagno, le modificazioni del comportamento e del rendimento scolastico. I professionisti delle cure primarie (pediatri di famiglia, medici di medicina generale) dovrebbero inserire un paio di domande chiave durante la raccolta dell’anamnesi, quali: “Hai problemi con l’alimentazione?” e “Ti preoccupi molto del peso e della forma del tuo corpo?”. Se il paziente risponde in modo affermativo, vanno fatte domande specifiche sui comportamenti che adotta per controllare il peso. Importante, nei casi sospetti, chiedere al paziente se ha avuto vertigini o senso di testa vuota (ipotensione ortostatica); se sente freddo (segno indicatore di una perdita di peso importante); se ha crisi di dolore addominale o ematemesi (entrambi possibile conseguenza di episodi bulimici); se c’è stitichezza (segno di digiuno); se c’è amenorrea e da quando.
L’uso di semplici questionari può facilitare lo screening. Per esempio nelle persone ad alto rischio, come le adolescenti e le giovani donne con peso eccessivamente alto o basso, preoccupazioni per il peso e la forma del corpo, disturbi mestruali o amenorrea, sintomi dispeptici e problemi psicologici, il medico può somministrare lo SCOFF (Sick, Control, One stone, Fat, Food), costituito da 5 domande: 1) Ti induci il vomito quando ti senti eccessivamente pieno?, 2) Ti preoccupi se hai perso il controllo su quanto hai mangiato?, 3) Recentemente hai perso più di 6 kg in un periodo di 3 mesi?, 4) Pensi di essere grasso, mentre gli altri ti dicono che sei troppo magro?, 5) Diresti che il pensiero del cibo domina la tua vita?
Esame obiettivo. Diversi sono i segni con i quali il paziente con DCA può presentarsi all’osservazione del Medico. I pazienti anoressici nelle fasi inziali possono manifestare sintomi aspecifici, come dolore e gonfiore addominale, stipsi, intolleranza al freddo, perdita di capelli, alterazioni della pelle e delle unghie, amenorrea, presunte allergie o intolleranze alimentari, astenia. Nella bulimia sintomi aspecifici sono alterazioni mestruali, astenia, stipsi o diarrea, pirosi gastrica e mal di gola. Possono essere colti segni fisici del vomito autoindotto, quali erosioni e callosità sul dorso delle mani, erosioni dello smalto dei denti, abrasioni del palato, ingrossamento delle ghiandole parotidee. Nell’infanzia, il pediatra deve prestare attenzione ai bambini con scarso appetito e alimentazione selettiva, per i quali la nutrizione acquista il ruolo di strumento di ricatto, contrattazione, conflitto. L’esame obiettivo parte dalla misurazione del peso e dell’altezza. Nell’anoressia tener conto del fatto che, se il bambino era obeso, il BMI (Body Mass Index) può essere ancora normale a fronte di una perdita di peso rischiosa. Il tasso di perdita di peso negli ultimi tre mesi è un importante parametro: una perdita di peso superiore a 1 kg la settimana pone le indicazioni per un ricovero urgente. La presenza di bradicardia marcata (<50 al minuto) e/o aritmia e di grave ipotensione (pressione arteriosa massima <80 mmHg) sono indicatori di opportunità di ospedalizzazione. Segni di malnutrizione sono inoltre mani e piedi freddi, temperatura corporea inferiore ai 36 °C, acrocianosi ed edema delle estremità. La valutazione laboratoristica serve a indagare lo stato metabolico-nutrizionale e la funzionalità d’organo.
Complicanze e comorbilità. Le complicazioni mediche contemplano, per l’anoressia: amenorrea, che spesso, ma non sempre, regredisce con il recupero del peso, e può correlarsi, in un 20-30% dei casi, al rischio di sterilità; danno cardiaco fino a morte per arresto cardiaco; danni di tutti gli organi e apparati; arresto della crescita staturale; grave osteoporosi (la ricerca nazionale sui DCA in età adolescenziale e preadolescenziale condotta dal Ministero su 1.380 soggetti tra gli 8 e i 17 anni, che si è conclusa nel febbraio del 2014, ha trovato nelle forme ad esordio precoce un’incidenza di osteoporosi da blocco dell’accrescimento osseo fino al 43%). Diverse anche le possibili comorbilità dei DCA: disturbo d’ansia, manifestazioni fobico-ossessive, depressione, attacchi di panico, discontrollo degli impulsi, autolesionismo e tentativi di suicidio, comportamenti a rischio come sessualità promiscua e non protetta, ricorso a sostanze di abuso.
Gestione. In letteratura scientifica non sono stati mai riportati casi di remissioni spontanee della patologia: la guarigione necessita di un intervento terapeutico. Questo richiede, secondo le “Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione” del Ministero della Salute, un approccio integrato da parte di un’équipe multidisciplinare formata da psicologo-psicoterapeuta, psichiatra, medico internista o pediatra, nutrizionista, endocrinologo, ginecologo, dietista, infermiere, educatore professionale, tecnico della riabilitazione psichiatrica e fisioterapista. Il trattamento può essere effettuato, a seconda delle diverse fasi e gravità della malattia, in setting diversi: ambulatorio, day hospital, reparto ospedaliero, centri di cura specialistici. L’impegno e la costanza dei genitori nel seguire la terapia è un elemento imprescindibile per la riuscita della stessa. Spesso la preoccupazione per l’anoressia e il calo di peso portano i genitori a identificare il figlio col suo problema, esprimendo nei suoi confronti sentimenti di rabbia e rifiuto. E’ importante che i genitori vengano coinvolti nel progetto terapeutico cercando di rinsaldare il legame affettivo e l’alleanza con il figlio contro un nemico comune, esterno: il disturbo alimentare che in maniera subdola ma pervasiva gli ha invaso la mente. Nel 2018, il Ministero della Salute ha coordinato un Tavolo di lavoro specifico sui disturbi dell’alimentazione che ha elaborato le “Raccomandazioni per interventi in Pronto Soccorso per un Codice Lilla”, un percorso ad hoc nel triage redatto con taglio operativo, per guidare gli operatori sanitari ad accogliere e valutare i pazienti con disturbi alimentari in pronto soccorso e avviarne da subito il giusto cammino terapeutico, e il documento “Raccomandazioni per i familiari”, uno strumento pratico per i familiari, su come riconoscere i sintomi dei disturbi dell’alimentazione, come interpretarli e come gestire i pasti.