Cultura

Diario di bordo, 19 marzo 2019

di Claudia Lancellotti

TORRE DEL GRECO (NA) – Amalia De Simone è una giornalista d’inchiesta. Ha accettato il mio invito e quello della scuola tutta ISISS Colombo, per stare con noi, parlarci della sua esperienza, del suo lavoro, ogni giorno in trincea.

Quando arriva non si aspetta il servizio d’accoglienza: rimane meravigliata e quasi intimidita dalle due file di sentinelle, con le loro uniformi, il loro sguardo compito.

Arriviamo in Aula Magna e per lei c’è uno scroscio di applausi. È popolare, i ragazzi la conoscono. È stato merito degli insegnanti prepararli, invitarli a leggere il suo blog, seguire le sue inchieste. Viene accolta dalla Dirigente Scolastica Dottoressa Lucia Cimmino, che fa gli onori di casa.

Ci vuole un po’ per rompere il ghiaccio – non c’è un canovaccio – e la professoressa Ines Esposito la invita a parlare alla “pancia”, piuttosto che al raziocinio.

L’Inno di Mameli, cantato da tutti con la mano destra sul cuore introduce al riconoscimento di cui è stata insignita Amalia De Simone: «Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, per il suo coraggioso impegno di denuncia di attività criminali attraverso complesse indagini giornalistiche».

Si comincia a parlare di vittime di mafia, commemorazioni. Amalia De Simone storce il naso. Non le piace il rumore fine a se stesso. «Le commemorazioni lasciano il tempo che trovano, se non sono seguite da fatti concreti», dice. Non le va giù che un ragazzo di soli 29 anni sia stato ucciso per errore dalla camorra a Ercolano, e che la sua famiglia non possa essere risarcita per un mero cavillo: lontano legame di parentela con un esponente di un clan, con cui in realtà non ha rapporti di nessun genere. Oltre al danno, la beffa.

Non può succedere che in un Paese che si reputa democratico, un Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio di Don Peppe Diana, non venga riconosciuto come testimone di giustizia. No, non si può accettare.

Da qui, poi, grazie alla professoressa Ines Esposito e al professor Carlo Cantalino che moderano l’incontro, parte il percorso della dottoressa De Simone nei meandri delle indagini che hanno portato a smascherare corruzione, mafie, dalla “bassa manovalanza” camorristica fino ad arrivare Oltralpe.

Seguiamo il suo racconto: quando arriva in Olanda, nell’immenso mercato di fiori che è servito alla ‘ndrangheta per nascondere proprio nei fiori, prodotti deperibili e quindi non controllabili nei posti di blocco, lo spaccio di stupefacenti. Siamo con lei quando, affacciata sulla bocca dell’inferno, trova strati e strati di rifiuti a costeggiare l’alveo di fiumi settentrionali, non solo campani.

I ragazzi ascoltano, sono molto presi. È merito anche dell’atteggiamento di Amalia, che appare come “una di loro”, per nulla accademica, ma vicina, empatica.

Pian piano iniziano a crollare nell’immaginario della platea i miti negativi dei capoclan, quelli che siamo abituati a vedere nelle fiction, perché Amalia ne descrive tutta la giovinezza spezzata o sprecata in carcere, i soldi facili ma effimeri, la famiglia lontana, mai vissuta appieno.

Il suo punto di vista apre orizzonti nuovi, accende luci di curiosità ed interesse negli occhi dei ragazzi. Iniziano le prime domande: «Ha mai avuto paura? », «Cosa pensa la sua famiglia del suo lavoro?», «Si è mai sentita sola?», «Come si sente quando un giudice o un politico ostacola il suo lavoro?»  «Come possiamo avere fiducia nella giustizia?» «Perché dovremmo avere fiducia nella giustizia?»

Amalia risponde ad ognuno: ogni domanda è un passo in avanti verso la conoscenza, ogni risposta un gradino più in alto verso la legalità.

«Si, mi sono sentita sola, quando oltre che dai cattivi dovevo difendermi dai buoni», «La paura fa aumentare la mia vigilanza e la mia attenzione. No, non ho bisogno di scorta. E nemmeno la voglio. Vi immaginate mentre faccio un’appostamento o un’inchiesta con la scorta dietro?», «Bisogna avere fiducia nella giustizia, perché la legge e il diritto in Italia funzionano bene, il gap e la fallacità sta nell’applicazione».

«Ognuno di noi deve fare la sua parte, ragazzi. Ognuno di noi deve rigare dritto. Solo così si costruisce una società migliore.»

Il momento che mi ha commosso di più, è stato quando il professor Cantalino ha chiesto: «Cosa possiamo fare noi docenti per contribuire alla costruzione di una società migliore? »

«Esattamente quello che sta facendo oggi, professore».

Grazie Amalia, grazie alla nostra Dirigente Dottoressa Lucia Cimmino, che ci ha dato l’opportunità di vivere questo bel momento, grazie ai colleghi tutti, di Italiano e Diritto, che hanno preparato i ragazzi e li hanno accompagnati in questo percorso.

Il mio diario di bordo finisce qui, con la speranza di aver aggiunto insieme ai miei colleghi e ai ragazzi, un minuscolo tassello verso la consapevolezza che la conoscenza, il coraggio, l’impegno di ognuno può apportare beneficio alla collettività verso la costruzione di una società migliore.

(Articolo ricevuto dalla professoressa Claudia Lancellotti, docente di Scienze, e pubblicato sul giornalino dell’Istituto Superiore Statale Cristoforo Colombo in occasione del convegno La verità al servizio della legalità: l’importanza del giornalismo d’inchiesta)

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