Cultura mafiosa nell’antimafia
Note su un film: un giudice dell’antimafia sfiduciato ritrova la voglia di lottare. Bella storia, ma veicola un messaggio sbagliato e ambiguo
di Ciccio Capozzi
Il 21 Marzo 21, Giornata Nazionale della Memoria delle Vittime Innocenti delle mafie, la Rai Tv, sulla Rete 1, ha trasmesso il film Il Giudice meschino di Carlo Carlei (ITA, ‘14).
In realtà è una riproposizione, accorciata, del tv movie del ‘14, che uscì in due puntate nel novembre di quell’anno. Qui si parla di un PM di Reggio Calabria, interpretato da Luca Zingaretti, piuttosto sfiduciato e diventato cinico, per una serie di sconfitte giudiziarie, che però riprende il suo posto di “battaglia”, perché il suo migliore amico, anche lui PM, ma fortemente impegnato sul fronte della lotta alla n’drangheta, viene ucciso. In parte per vendicarlo, in parte perché preso da rimorsi si dà da fare e “acchiappa” i criminali.
Viene aiutato da un mammasantissima, vecchio e rispettato capo-‘ndrangheta, che per combattere i nuovi, feroci, spregiudicati, ambiziosi capi-‘ndrine autori delle varie ammazzatine e rapimenti di bambini (anche del figlio del protagonista).
Costui, benché in carcere (non parrebbe al 41 bis, viste la facilità con cui si muove nel carcere e lo “governa”) lo mette sulle tracce dei colpevoli, pur se sulla base di favole e strane metafore.
In particolare questi cattivi sono impegnati in un lucroso commercio internazionale di rifiuti nucleari, che, sotterrati nelle prossimità di corsi d’acqua e falde acquifere, sta avvelenando la popolazione del paesino del vecchio capo.
Orbene, a parte la trasformazione del Giudice, il film insiste molto sulla differenza tra i vecchi e nuovi ‘ndranghetisti: i giovani sono cinici, impudenti e crudeli, magari con punte di accentuato sadismo; mentre i vecchi “rispettano bambini e donne innocenti”, nel senso che non alzerebbero mai un dito contro di loro, come invece si vede nel film che fanno questi nuovi. E in più i capi emergenti non rispettano le gerarchie, ecc. Inoltre il vecchio appare (del resto è il bravo attore Maurizio Marchetti, molto criptico e gestualmente potente) sinceramente allibito e inferocito per il pericolo in cui quei disgraziati mettono l’intera popolazione avvelenando l’acqua.
Ma sono tutte palle: non è vero niente.
Non esiste, e non è mai esistita nelle mafie la cultura del rispetto verso i bambini, le donne, e i deboli. Questi hanno rispetto e sono ossessionati solo dalla ricchezza e dal potere: e pur di averne di più, o per difendere quello che hanno, non guardano in faccia a niente e a nessuno. A nessuno. Sia esso donna, bambino: e questo ce l’hanno accertato, senza tema di smentita, decine e decine di verbali di confessioni di pentiti (poi confermati da ritrovamenti successivi di resti umani).
Ed è risaputo che sono le cosche ioniche della ‘ndrangheta i più attivi contrabbandieri interni e internazionali, di rifiuti tossici del mondo: perfino più dei campani.
E non è nemmeno vero che i giovani rampanti sarebbero più feroci dei vecchi: è il contrario. Sono i vecchi capi ad essere i più spietati: i più tradizionalisti, i più patriarcali, nell’ambito delle “loro” famiglie naturali, sono i più di tutti attenti a che nessuno subentri loro. Ed è questa l’unica forma di conflitto tra i vecchi e i giovani. Essi si ammazzano tra loro: ma uccidono gli innocenti e tutti coloro che sono d’intralcio. E lo fanno non appena le condizioni lo permettono, sia di sicurezza che di politica: loro i nemici li studiano notte e giorno, e appena colgono segnali di debolezza e di ambiguità vi si infiltrano con strategie e mosse mirate, come l’esperienza storica ci insegna infallibilmente.
Il fatto che la Rai, nel’orario di massimo ascolto, in una ricorrenza come quella del 21 marzo, dia un film che veicola un messaggio così sbagliato nella sua ambiguità – e lo dia senza un minimo di dibattito e di riflessione critica su di esso – è sommamente negativo. E lo sarebbe anche se tale scelta fosse frutto “solo” di sciatteria e pressapochismo, nel senso che si è scelto il film con noncurante superficialità.
Personalmente non ci credo: come dice il Divo Giulio (Andreottti), “... a pensar male si pecca ma ci pigli…”. Il film proposto non è per nulla di chiarezza sulla cultura dell’antimafia. Anzi fa comprendere come la cultura della mafiosità è del tutto interna, la fagocita e la mistifica, a quella dell’antimafia, almeno in certi livelli istituzionali.