Come un dito nel culo – II capitolo
di Giovanni Renella
Capitolo II
La sofferenza di Alfredo per la relazione della moglie con Luigi Galasso traspariva chiaramente dalle parole dell’uomo e il Commissario Iezzo, che non aveva ben capito se la storia fra i due amanti andasse ancora avanti, provò un moto di compassione per l’infermiere.
«Sarà per solidarietà fra cornuti», pensò Iezzo, sarcastico fino al masochismo, ricordando l’abbandono di sua moglie avvenuto qualche anno prima.
La commiserazione per Alfredo Calabrese durò giusto qualche attimo, poi il Commissario Iezzo provò a riannodare il filo del discorso: «Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine in quanto sta dicendo, anche perché la relazione di sua moglie con il Galasso, per quanto possa ferirla, non è certo un reato.»
La precisazione di Iezzo spinse Calabrese, risentito, a sollevare quello sguardo che prima si era abbassato nel confidare al Commissario il tradimento della sua Giovanna.
«Commissà – riprese Alfredo- lo so che il tradimento non è un reato, ma comunque fa male. E se ci penso, forse le corna me le sono pure meritate, perché con mia moglie ho sempre dato tutto per scontato e piano piano alle parole si sono sostituiti i silenzi, alle complicità le incomprensioni e alla fine la routine ha scavato un solco così profondo fra di noi che, quando ce ne siamo accorti, era ormai troppo tardi per provare a colmarlo; anche perché, probabilmente, una volontà vera e propria di farlo non l’abbiamo mai avuta. Le storie d’amore, Commissario – chiosò Alfredo- muoiono per afonìa.»
«Adesso abbiamo pure l’infermiere-filosofo», disse Pasquale Iezzo, visibilmente contrariato dall’essersi ritrovato perfettamente calzato nella disamina fatta da Alfredo Calabrese.
Sapeva che erano stati i suoi silenzi e il suo carattere introverso e spigoloso a spingere il rapporto con la moglie su di un binario morto; ma riconoscersi nelle parole di un estraneo, che pure parlava per sé, e dover ammettere che in fin dei conti anche lui era in parte responsabile dell’abbandono della moglie, gli procurava un fastidio insopportabile.
«Calabrese – esordì Iezzo alzandosi dalla sedia visibilmente contrariato e puntando i pugni sulla scrivania – se entro i prossimi cinque minuti non mi riassume la sua versione dei fatti, in modo chiaro e lineare, mi incazzo sul serio. Lei stasera si è presentato in Commissariato dicendo di voler denunciare una truffa perpetrata, in ambito sanitario, ai danni di centinaia di persone.»
«Data la delicatezza dell’argomento, l’ispettore preposto a ricevere le denunc e-sottolineò sarcastico Iezzo – ha pensato bene di farla parlare direttamente con il Commissario e così, fortuna mia, lei si è ritrovato a raccontare proprio a me la sua storia ingarbugliata. Ora, poiché ancora non mi è chiaro come è stata articolata questa truffa e da chi, o lei si trasforma, all’istante, nel Bignami della denuncia perfetta o io la sbatto fuori a calci nel culo.»
Messo alle strette, Alfredo fece mente locale e decise di partire dall’obiettivo della truffa: i soldi.
«Voi lo sapete quanto costa una prostatectomia effettuata con il laser privatamente?», chiese Calabrese al Commissario, e senza attendere la risposta disse: «Dai cinquemila agli ottomila euro, fra chirurgo, anestesista, fitto della sala operatoria, del laser e ricovero di quarantotto ore; l’oscillazione è alta perché varia fra l’intervento effettuato nella struttura pubblica, con la formula intramuraria, e quello effettuato in una clinica privata.»
«Caro il nostro infermiere professionale – lo interruppe ironico Pasquale Iezzo – io la ringrazio per questo suo aggiornamento sui costi degli interventi alla prostata, ma mi risulta che questo genere di operazioni siano effettuate anche a carico del servizio sanitario nazionale, sia negli ospedali pubblici che nelle strutture private convenzionate.»
«Però, vedete Commissario, – precisò sornione Calabrese – in questi casi i tempi si allungano di mesi, se non di anni, a causa di liste d’attesa chilometriche; ma se uno ha un tumore maligno alla prostata è disposto a pagare profumatamente pur di sbarazzarsene e non morire.»
«Tutto chiaro – disse Iezzo – ma non vedo dove sia la truffa: ognuno, con i soldi suoi fa quello che vuole e se sceglie di spendere una cifra blu per farsi asportare un cancro nel minor tempo possibile, non lo biasimo neppure, anzi lo capisco: in gioco c’è la sopravvivenza!»
«Certo, – replicò Alfredo dopo una breve e studiata pausa tesa a catturare l’attenzione del poliziotto – se non fosse per il piccolo, trascurabile, dettaglio che si tratta di interventi chirurgici a pagamento effettuati su pazienti sani a cui, invece, è stata diagnosticata una falsa neoplasia prostatica: Commissà, questi farabutti operano uomini in perfetto stato di salute facendogli credere che hanno il cancro!»
(continua…)
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Nato a Napoli nel ‘63, agli inizi degli anni ’90 Giovanni Renella ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018).