Capora’ è mmuorto l‘alifante, nun si cchiu’ nisciuno
Questa domenica il nostro autore ci racconta la storia del famoso “alifante” della Reggia di Portici e del caporale che lo accudiva
di Lucio Sandon
Giunse quello finalmente nella Regal Villa di Portici dove la Corte si tratteneva, il dì primo Novembre: e come delle cose grandi avviene, la vista di lui non che scemare il piacere e la maraviglia, sì l’accrebbe di molto, anche ne’più intelligenti.
Francesco Serao di San Cipriano : Descrizione e dissertazione dell’elefante pervenuto in dono dal Gran Soldano alla Regal Corte di Napoli, 1 novembre 1742.
Il 29 ottobre 1742 nel porto di Napoli era sbarcato un elefante, dono del Gran Sultano ottomano Maometto V a re Carlo di Borbone. I sovrani, riferiscono le cronache, si compiacquero di farlo menare tre o quattro volte al loro cospetto a trattenersi a vedere le destrezze e i giochi soliti a farsi da queste moli animate, che di tenerlo esposto alla giusta curiosità di tutto il popolo.
L’elefante indiano venne ospitato nel parco della Reggia di Portici, dove il cosiddetto giardino grande sul lato del Vesuvio, oggi Orto Botanico, era arricchito da numerose piante ornamentali e da una bella fontana sormontata dalla copia della statua di Flora, rinvenuta negli adiacenti scavi di Ercolano. Il giardino delle rose, un tempo molto amato dalle regine, è abbellito da una fontana di pietra lavica e da un piccolo poggio, dove c’era anche un tavolino con mosaico pompeiano, sul quale secondo tradizione i re firmavano le condanne a morte. A questo giardino segue un anfiteatro detto della Pallacorda, progettato da Ferdinando Fuga, dove si praticava il gioco del pallone, e in fondo al bosco, progettato invece da Michele Aprea, vi è ancora un piccolo fortino dotato di fossato e ponte levatoio, copia della fortezza di Capua per la simulazione della guerra,. In questa parte del parco c’è la palazzina degli intendenti, la vaccheria, la pagliaia, un belvedere, una piccola palude, la casetta del vino, l’eremitaggio, l’oliveto, la vigna, alcune abitazioni per i contadini complete di scuderie, e il cosiddetto serraglio delle belve. Era quest’ultimo un vero e proprio zoo e costituiva una delle maggiori attrazioni della reggia: erano presenti una coppia di leoni, una coppia di pantere, quattro antilopi, alcuni canguri, degli struzzi, e poi aironi, un istrice, e una leonessa di Persia, dono del re Ottone di Grecia, e naturalmente il grande elefante indiano.
Dovendo andare in scena al San Carlo una commedia di Pietro Metastasio intitolata Alessandro nell’India, l’impresario ebbe l’idea di domandare in questi termini al sovrano il permesso di portare in scena il suo elefante: poiché tra gli avvenimenti che seguono in scena vi è quello dei doni che si presentano, si è considerato che riuscirebbe di un gran plauso il far tra di essi comparire l’elefante, e per la rarità e bellezza dell’animale e per la novità che farebbe il vedersi sopra il Real Teatro, credendosi da noi che una tal veduta possa apportare anche dell’utile per il concorso della maggior gente, e per la voce che si spargerebbe di vedersi cosa che solo per la grandezza di Sua Maestà può aversi, e per sua real benignità voglia compiacersi di condiscendere a darne il permesso.
Il re prima negò, ma poi accordò il suo consenso: con l’intesa di doversi preventivamente farsi non una, ma più pruove, per vedere se l’elefante stia saldo e allo splendore dei lumi, e allo rumore degli strumenti da suono, donde senza un esatto esperimento potrebbe venire qualche sconcerto. Superate le prove, l’animale debuttò con successo, e l’unico incidente si registrò tra uno degli indiani che governavano l’elefante e una guardia svizzera, ma si era trattato solo di un alterco degenerato in rissa.
L’elefante di Portici è raffigurato in una statua in terracotta di Gennaro Reale e in un dipinto di Pellegrino Ronchi, entrambi nella Reggia di Caserta, mentre un altro dipinto di Giuseppe Bonito è custodito in Spagna, nel Palazzo Reale di Segovia. Alla morte dell’animale ne furono preparati lo scheletro e la pelle, montata su un supporto metallico. All’inizio dell’ottocento vennero rubate le zanne e, pezzo dopo pezzo, anche la pelle, usata per confezionare delle calzature particolarmente robuste.
Lo scheletro fu trasferito al Museo Zoologico nel 1819 mentre di quel che restava della pelle, si sono perse le tracce durante la seconda guerra mondiale. Lo scheletro del pachiderma è oggi visibile presso il Centro Museale delle Scienze naturali e Fisiche di Napoli, al numero 8 di via Mezzocannone.
Dalle vicende del povero elefante ha preso origine un famoso motto partenopeo: caporale, è morto l’elefante, cioè: è finita la pacchia. Questo perché a guardia del pachiderma era stato posto un caporale dei veterani dell’esercito borbonico, il quale avendo insegnato al bestione qualche numero che faceva eseguire a comando, visse un periodo di grande celebrità, e gestiva un piccolo potere che mai aveva avuto prima. Il caporale andava fiero di quell’animale che considerava quasi cosa sua, e si arrogava il diritto di mostrarlo a chi voleva, ricavandoci regali e mance da chi gli chiedeva di vedere il fiero e grande elefante turco. Il vecchio militare si sentiva ormai un personaggio importante, e visse un intenso periodo di gloria. Accadde però l’imponderabile: nel 1756 a causa forse dell’alimentazione sbagliata, l’elefante morì e il caporale vide svanito di colpo tutto il suo potere, tutta la sua importanza. Ritornò ad essere un semplice sottufficiale come tutti gli altri, e la depressione in cui cadde si trasformò presto in uno degli innumerevoli detti che riempiono la lingua napoletana, un motto popolare citato anche da Benedetto Croce.
Capora’, è mmuorto l’alifante!: si dice di qualcuno che ha perso il suo potere per circostanze nuove e improvvise, e che deve quindi improvvisamente smettere di sentirsi importante. Il potere si sa, è arrogante, può capitare che una persona arrivata a occupare una posizione di prestigio o di supremazia di colpo si trasformi, diventando altezzose e scostante. La frase viene usata quindi nei confronti di qualcuno a cui si vuole indirizzare un messaggio chiaro: non vantarti più, non fare affidamento su di una rendita di posizione su un vantaggio che prima avevi, e ora non hai più!
Un ringraziamento per la correzione delle parole in napoletano alla scrittrice e blogger Maria Franchini
Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019. Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109. Nel 2020 il libro “Cuore di Ragno” è stato premiato come:
- Vincitore per la sezione Narrativo al “Premio Talenti Vesuviani”;
- Miglior romanzo storico al prestigioso XI “Concorso Letterario Grottammare”;
- Best Seller al “Premio Approdi d’Autore” della Graus Edizioni;
- Vincitore alla sezione Romanzo Storico al “Premio Nazionale Alberoandronico”;
- Vincitore per la sezione Romanzo Storico all‘IX “Premio Letterario “Cologna Spiaggia”.
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