Storie di Portici: il tappeto di fiori
Nella Città della Reggia nuova linfa per la bella tradizione del tappeto di fiori
di Stanislao Scognamiglio
La tradizione di creare quadri con i fiori, come espressione della cosiddetta festa floreale, nasce a Roma nella prima metà del XVII secolo. Si deve infatti a Benedetto Drei, responsabile della Floreria vaticana, e a suo figlio Pietro, l’aver usato per la prima volta il 29 giugno 1625, festività dei santi apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma, «… fiori frondati e minuzzati ad emulazione dell’opere del mosaico».
Nel 1633 Stefano Speranza, stretto collaboratore dell’architetto Gian Lorenzo Bernini, realizza un altro quadro floreale. Secondo lo storico dell’arte Oreste Raggi, grazie al Bernini «… da Roma quest’arte si divulgò».
Tale tradizione alligna nelle località dei Castelli Romani e, dal Lazio poi di diffonde nelle altre regioni d’Italia. Risale al 1778 la prima infiorata con l’allestimento di alcuni quadri floreali nella via Sforza di Genzano in occasione della festività del Corpus Domini, o al 1782 con la realizzazione di un lungo tappeto che copre l’intera via.
Da allora le località in cui vengono allestite infiorate nella ricorrenza del Corpus Domini sono divenute sempre più numerose, in Italia e all’estero. In diverse località vengono approntate delle infiorate sul modello delle tradizionali, ma prive di legame con le festività religiose cristiane.
Il tappeto di fiori, da tempo immemore eseguito a Portici nella terza e poi dal 1985 nella prima domenica di maggio, in occasione della processione del santo patrono San Ciro, sono realizzati con il solo impiego di prodotti vegetali freschi: petali, foglie. Non mancano, però, alcune realizzazioni ottenute con l’impiego di materiali misti colorati (trucioli di legno, strame, segatura, fondi di caffè, cascami, sale e persino ciocche di capelli). Per lo più hanno forma quadrata o rettangolare o circolare e sono di piccole o grandi dimensioni; generalmente occupano una superficie che può variare dai 2 ai 30 metri quadri.
Le numerose realizzazioni che sono eseguite in più parti della cittadina vesuviana, consistono in produzione di quadri, che nella parte centrale del campo presentano motivi a carattere:
- sacro: l’immagine del Santo per intero o nel dettaglio del volto, il Sacro Cuore, il Buon Pastore, l’Ostia Eucaristica, l’Agnello Pasquale;
- religioso: la croce, il calice, l’ostensorio con raggiera, il triangolo con al centro l’occhio divino, la tiara papale, la tiara con le chiavi di San Pietro, lo stemma papale, il monogramma S o SC, la corona, la stella; la Chiesa madre;
- geometrico: progetto di un giardino o di un’aiuola;
- astratto: disegni non reali;
- simbolico: attuali e sociali: la pace, lo stemma della Città, lo scudo crociato.
Il soggetto centrale è contornato da altri vari elementi decorativi quali arabeschi, bordure, fregi, greche, losanghe. Spesso il disegno è a tutto campo con riproduzioni di motivi geometrici, come quella di un progetto di un giardino o di un’aiuola fiorita, o di un disegno di fantasia.
Gli artefici di tante pregevoli opere, anno dopo anno sono sempre gli stessi. Anche il posto ove viene realizzato il tappeto è quasi sempre lo stesso. Ciò permette agli assidui e tantissimi frequentatori richiamati in Portici dalla festa patronale, di individuare il gruppo all’opera, ancor prima dell’esposizione della targa identificativa.
Sono dei veri artisti i giardinieri che negli anni ’50 – ’60 dello scorso secolo, praticano la composizione del tappeto. Estemporanei quanto spassionati, perché una sola volta all’anno avevano la possibilità di estrinsecare la loro fantasia creativa e in modo del tutto gratuito.
Veri quadri, i tappeti di fiori porticesi sono tanto degni di essere ammirati da richiamare l’attenzione della stampa nazionale. Tale è la rinomanza delle loro opere, che, alla pagina interna del numero 25 della rivista La Tribuna illustrata, supplemento settimanale di La Tribuna, pubblicato a Roma il 18 giugno 1922, si trova una foto illustrante un tappeto floreale.
La didascalia, sottostante all’immagine, recita: «Gentile ed artistica usanza floreale – Tappeto di fiori freschi eseguito dal floricoltore Ciro Ascione sul pavimento stradale in occasione della festa di S. Ciro, a Portici».
La tradizionale attuazione del tappeto di fiori, tramandata di generazione in generazione, si conserva sorprendentemente incisiva nel tempo fino agli anni Cinquanta. Da allora, progressivamente, purtroppo inizia a scemare sempre più il numero delle composizioni, tanto che verso la fine degli anni Sessanta viene quasi irrimediabilmente a mancare.
Oggi di queste realizzazioni ne resta infatti il solo ricordo impresso nelle foto dell’epoca o nella memoria di quanti sono stati attivamente coinvolti nella lavorazione e di quanti hanno avuto la possibilità di ammirarlo.
Tutti concordano nel dire che le cause della mancata esecuzione del tappeto sono da ricercarsi nella spropositata urbanizzazione che negli anni cinquanta-sessanta ha sconvolto Portici.
Difatti l’elevato aumento della popolazione residente ha comportato da un lato un abnorme ed eccessivo sviluppo edilizio, con la conseguente sparizione di numerosi giardini e quindi una diminuzione dell’attività agricola. Dall’altro un notevole incremento del parco di autovetture circolanti in città, che ha provocato un non confortante risultato, l’insorgere di un nuovo problema: il traffico veicolare.
Nella metà degli anni Ottanta sembra che la tradizionale esecuzione riprenda vita, con qualche altro nuovo tentativo ma l’iniziativa purtroppo non ha seguito. A quella che sembra sia rimasta l’unica composizione, di tanto in tanto, si nota qualche altra improvvisa quanto sporadica opera. Quest’ultima è eseguita su commissione, previa sottoscrizione fra gli abitanti del rione, da persone estranee al mondo dei fiori o da qualche fiorista locale e in luoghi diversi da quelli tradizionali.
Ma la fatica, le difficoltà intrinseche ed estrinseche al compimento del tappeto prevalgono e piegano l’entusiasmo degli occasionali e volenterosi esecutori, per cui nell’anno successivo questi non rinnovano l’esperienza.
Fine prima parte
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